Nel secondo trimestre 2023 sono di nuovo aumentati, dopo un anno e mezzo circa, i fallimenti delle imprese italiane (+1,5% rispetto allo stesso periodo del 2022), mentre le liquidazioni volontarie hanno visto un’impennata (+26,1%). A rivelarlo è l’ultimo Osservatorio fallimenti Cerved di settembre. Nel secondo trimestre dell’anno sono stati registrati 2.070 fallimenti e 10.446 liquidazioni volontarie. Oltre alle classiche procedure di fallimento, il report conteggia come fallimenti – in base a quanto stabilito nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – anche due ulteriori procedure gravi: ‘Liquidazione giudiziale’ e ‘Liquidazione controllata’.
I settori più colpiti dai fallimenti
Si rivelano sempre più in difficoltà – secondo lo studio – le imprese piccole e medie, come era già emerso nel 2022 dalla crisi di liquidità e dall’allungamento dei tempi di pagamento verso i fornitori, che spesso sfocia in ritardi e mancati pagamenti. A far crescere i fallimenti sono soprattutto le ditte individuali mentre le società di capitali fanno registrare solo un lieve aumento (+0.3%), trainato in particolare dalla fascia di aziende tra i 2 e i 10 milioni di euro di fatturato.
I comparti più colpiti sono l’industria (+5,2%) e i servizi (+1%), in particolare i prodotti da forno e la pasticceria industriale, gli alberghi, l’ingrosso costruzioni, che già lo scorso anno avevano registrato livelli elevati di indebitamento e un peggioramento delle abitudini di pagamento. A seguire troviamo anche: servizi sanitari, lavorazioni meccaniche e metallurgiche, carpenteria metallica, servizi informatici e software, ristorazione, manutenzione e riparazione auto e moto e consulenza societaria.
Quali sono i territori più colpiti? L’andamento regionale dei fallimenti è assai eterogeneo. In crescita il Nord – Est (+12,1%) e il Centro (+11,6%), con il Molise fa registrare un’impennata di casi. Meglio il Nord – Ovest (- 4%) e ancora meglio il Mezzogiorno (- 7,1%).
Fallimenti vs liquidazioni in bonis: le differenze
Tra i due fenomeni c’è grossa differenza, come spiegano gli esperti Cerved. “Mentre i fallimenti sono la risultante di un processo di deterioramento dei fondamentali finanziari che avviene nel corso del tempo e quasi sempre è anticipato da una riduzione del giro d’affari dell’impresa, le liquidazioni volontarie (in bonis) riflettono invece il peggioramento delle aspettative imprenditoriali e possono essere interpretate come un indicatore che riflette le aspettative di profitto degli imprenditori, dal momento che la chiusura di attività in bonis è di solito legata a margini attesi non sufficienti a proseguire l’attività imprenditoriale”.
Nel Nord – Ovest in aumento le liquidazioni volontarie
Le liquidazioni volontarie fanno un balzo in avanti (+26,1%) rispetto al secondo trimestre 2022. A chiudere in questo caso sono soprattutto società di capitali e in particolare le PMI con fatturato tra 2 e 10 milioni di euro (+71%). La congiuntura economica sfavorevole si riflette in un’impennata di liquidazioni volontarie. I maggiori incrementi riguardano le costruzioni (+33%) anche a seguito della fine degli incentivi, seguite da servizi (+26.2%) e industria (+22,8%). I comparti più colpiti sono quello dei metalli e della loro lavorazione (+128.6%), alberghi (+57,9%), prodotti all’ingrosso per le costruzioni (+50%), edilizia (+42,2%), commercio al dettaglio specializzato (+41,1%), prodotti da forno (39,5%), spedizionieri (+37,6%), concessionarie e agenzie di pubblicità (36,2%), distribuzione alimentare moderna (+33,9%), servizi informatici e software (+29%).
L’andamento geografico fa registrare una crescita notevole nella macro – area del Nord Ovest (+30,7%), ma si abbassano tante saracinesche anche al Centro (+27,4%) e nel Mezzogiorno (+23,5%). Va meglio il Nord Est (+21,7%). Le regioni più colpite sono Umbria, Calabria, Sardegna, Sicilia, Liguria, Lombardia.
L’impatto sull’economia reale
Per ogni impresa che chiude i battenti, un numero consistente di lavoratori perde il proprio posto. Lo studio Cerved fa sapere che nella prima metà dell’anno in corso, a causa delle chiusure (dovute a fallimenti, liquidazioni volontarie e procedure non fallimentari) hanno perso il lavoro oltre 81.000 impiegati. Se guardiamo ai debiti prodotti invece: nel complesso i debiti finanziari superano i 2.516.000 milioni di euro e quelli commerciali vanno oltre 1.826.000 milioni di euro.