L’economia della bellezza italiana vale 500 miliardi di euro

Il dato emerge dall’edizione 2023 dello studio di Banca Ifis sui settori dell'economia italiana che traducono in business l'identità profonda e le tradizioni del Paese

0
166

Nel 2022, il valore dell’economia italiana della bellezza ha sfiorato i 500 miliardi di euro, in crescita del 16% rispetto al 2021 e dell’8% rispetto al 2019, superando i livelli pre-Covid. Per economia della bellezza si intende l’insieme dei settori dell’economia italiana che traducono in business l’identità profonda e le tradizioni del Paese. È quanto emerge dall’edizione 2023 di “Economia della Bellezza”, lo studio realizzato dall’ufficio studi di Banca Ifis nell’ambito di Kaleidos, con l’obiettivo di rappresentare l’eccellenza del Made in Italy. Oltre a misurare il valore economico delle imprese italiane attive nel comparto della bellezza, nel 2023 lo studio ha approfondito le peculiarità di un modello unico al mondo, ovvero il connubio inscindibile tra saper fare artigiano e manifattura.

Il Pil della bellezza è trainato da agroalimentare e turismo

Secondo quanto elaborato nel “Market Watch” di Banca Ifis, c’è sempre più bellezza nel Pil italiano. A fine 2022, il contributo di questo particolare comparto economico al Pil nazionale si attestava al 26,1%. L’economia della bellezza ha contribuito in modo importante alla ripresa dell’economia italiana dopo il biennio pandemico: nel 2022, questa ha rappresentato il 56% dell’aumento del Pil nazionale rispetto all’anno precedente e addirittura il 33% dell’aumento rispetto al 2019, ultimo anno pre-Covid.

In generale, nel 2022 ha raggiunto quota 499 miliardi di euro, crescendo del +16% rispetto ai 431 miliardi di euro del 2021: una crescita più che doppia rispetto al resto del sistema produttivo italiano. Particolarmente interessante è il fatto che la crescita del Pil prodotto dall’economia della bellezza risulta positivo anche nel confronto con il 2019, ovvero l’ultimo anno prima del Covid-19. Nel periodo, questo è cresciuto del +8%, certificando una piena ripresa dalla crisi pandemica. La convergenza tra il «bello e ben fatto» e il «buon lavoro» sembra sempre più esprimere un motore per l’intera economia italiana.

La crescita del valore prodotto rispetto al 2019 (+37 miliardi di euro) è stata generata per il 47% dalle imprese purpose – driven (cioè guidate da uno scopo sociale) per il 29% dal turismo culturale e naturalistico e per il 24% dalle imprese design – driven (ovvero guidate da una forte componente di design). A livello di settori, sono 8 quelli che hanno contribuito alla crescita del Pil della bellezza rispetto al 2019: Agroalimentare (13 miliardi di euro) e Turismo (11 miliardi di euro) sono quelli che hanno registrato l’aumento maggiore, ma bene hanno fatto anche Tecnologia, Cosmetica, Sistema Casa, Ambiente, Orologeria e Gioielleria e Automotive, grazie al forte sviluppo dell’approccio purpose – driven.

Il “saper fare” artigiano contribuisce al 54% del fatturato della manifattura italiana

Per l’edizione 2023 del Market Watch “Economia della Bellezza”, l’ufficio studi di Banca Ifis ha scelto di dedicare un focus particolare a quanto l’eccellenza della manifattura Made in Italy tragga origine dal lavoro dei maestri d’arte. Il “saper fare” artigiano contribuisce ancora al 54% del fatturato della manifattura italiana. In quasi 9 casi su 10, le imprese della manifattura considerano l’artigianalità non sostituibile da macchinari. In un business sempre più globale, in cui i mercati internazionali richiedono un posizionamento differenziante, rappresentare la qualità e l’unicità del prodotto italiano è una delle sfide alle quali è chiamata la manifattura del nostro Paese. Secondo le rilevanze del Market Watch, per le imprese manifatturiere italiane il valore aggiunto del lavoro artigianale ricopre un ruolo rilevante nella produzione, sia in fase di progettazione sia di realizzazione.

Per il 53% delle aziende intervistate, l’artigianalità non rappresenta una semplice ricerca del lusso, ma uno strumento concreto per dar forma alle idee, da mettere in campo nella fase di prototipazione. In tal senso, il saper fare viene identificato da 8 imprese su 10 come fattore distintivo di competitività sul mercato poiché consente di rispondere efficacemente ai nuovi trend e alle nuove mode, come indicato da ben il 91% degli imprenditori della manifattura. In quest’ottica, gli artigiani si configurano come figure capaci di dare unicità al prodotto, integrando l’interpretazione in chiave contemporanea con l’attribuzione di un valore nel segno della tradizione, dell’innovazione e della sostenibilità. Questa modalità che deriva dall’ibridazione tra artigianalità e manifattura rappresenta il vero e proprio modello italiano di produzione del Made in Italy.

Al contempo, però, il mestiere dell’artigiano risente oggi di un sistema in rapida evoluzione dal punto di vista demografico, economico e sociale. Il calo delle imprese artigiane (-32% di operatori attivi dal 2000, concentrando l’attenzione su quelle del manifatturiero) parla della complessità nel trovare chiavi di lettura innovative per crescere e coinvolgere i giovani. Lo studio 2023 ha analizzato anche le difficoltà incontrate dalle imprese artigiane che lavorano con l’industria manifatturiera, penalizzate da una rilevante riduzione del loro numero e un progressivo invecchiamento degli artigiani stessi. Negli ultimi due anni molte imprese artigiane (il 41%) si sono trovate ad affrontare un passaggio generazionale, spesso legato proprio alla trasmissione dell’attività. Le più comuni strategie per garantire continuità alle imprese sono il mantenimento della tradizione familiare e la formazione diretta di nuovo personale.

Gli artigiani chiedono modifiche agli attuali programmi scolastici attraverso il potenziamento di percorsi di studio che siano capaci di mostrare ai giovani la creatività connessa con i lavori artigiani e auspicano anche l’introduzione di incentivi fiscali per chi intraprende un’attività in questo settore. D’altra parte, il 93% delle imprese della manifattura conferma il trend di internalizzazione già in atto. La strategia più adottata per portare a compimento questa internalizzazione è l’affiancamento con chi è già esperto del mestiere (indicato dall’81% delle imprese) mentre ci si avvale in misura decisamente minore di corsi di formazione più teorici (12% delle imprese).

Fonte: ufficio stampa Banca Ifis