Beni artistici a garanzia dei finanziamenti

I beni artistici rappresentano per il collezionista un asset patrimoniale e possono costituire la garanzia di un finanziamento, in primis bancario

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Per il collezionista appassionato, i dipinti, le statue, i mobili, i beni artistici in genere sono alimento per gli occhi e per la mente e, quindi, oggetto di acquisizione, talvolta anche compulsiva, ma senza finalità economica. Detto questo, non vi è dubbio, tuttavia, che essi, essendo connotati da un prezzo venale, sono comunque configurabili come investimenti, generando plusvalenze o minusvalenze, rispetto al costo di carico, in occasione di un’eventuale cessione (quest’ultima da assumersi, sia detto per inciso, come pratica eccezionale, per non incorrere in problematiche fiscali). I beni artistici, dunque, al di là delle motivazioni di acquisto, costituiscono per il collezionista un asset patrimoniale, il cui valore è dato dalla contingente situazione – e dalle mode – del mercato dell’arte.

Preciso subito che con la locuzione beni artistici mi riferisco esclusivamente a opere “giuste”, cioè indiscutibili, correttamente attribuite e in buone o, ancor meglio, in ottime condizioni di conservazione. Questa notazione, di per sé banale, risulta tuttavia centrale per il sia pur stilizzato ragionamento che sto provando a svolgere, determinando essenziali implicazioni pratiche nell’ottica dell’eventuale utilizzo dei manufatti in questione quale garanzia di un finanziamento, in primis bancario. I beni qui considerati fanno parte di una relativamente ristretta gamma di oggetti d’arte che, con una forzatura semplificatoria, sono definibili di potenziale dignità museale e a cui un valido specialista del settore è agevolmente in grado di attribuire un prezzo di mercato. In altre parole, il grazioso cassettone della nonna, il piacevole quadro di paesaggio di mano ignota, il simpatico ritratto, l’aggraziato bronzetto di genere, la deliziosa porcellana e via dicendo, seppur dotati di un valore commerciale come elementi di arredo, o, se vogliamo, di “piccolo collezionismo”, sono affatto estranei al nostro discorso.

Tralasciando le esperienze di altri paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, ove è praticato il rilascio di linee di credito a fronte del pegno di capolavori di celebri maestri, in Italia non sono mancate, in passato, sporadiche situazioni – realizzate, senza soverchio entusiasmo, da banche – di finanziamenti anche garantiti, in via accessoria, da opere d’arte, considerate ad abundantiam nel complessivo contesto patrimoniale del finanziato, magari “in tensione”. Fa eccezione il servizio specialistico recentemente attivato da un piccolo istituto di credito – se bene ho inteso, prevalentemente rivolto al segmento dell’arte contemporanea – con la previsione di prestiti garantiti della durata di sei mesi, rinnovabili. Le opere acquisite in pegno sono considerate sino al 75% del valore loro assegnato.

Avuta presente, peraltro, la numerosità di importanti nuclei collezionistici, soprattutto di dipinti, sparsi su tutto il territorio nazionale, sembra ragionevole suggerire un approccio sistematico da parte delle maggiori banche nazionali nei riguardi di finanziamenti garantiti da beni artistici, sempre, ovviamente, verso clienti privati che, per flussi reddituali correnti, appaiano in grado di sostenere il servizio del debito. Sono consapevole delle difficoltà tecniche di quanto prospettato, ma esse sono superabili. Provo ad abbozzare di seguito qualche considerazione operativa.

La questione preliminare da affrontare certamente consiste nell’oggettiva incompetenza di direttori di filiali e di responsabili delle funzioni preposte a valutare beni artistici. Al riguardo è agevole ipotizzare che l’istituto di credito si convenzioni con una primaria casa d’aste per la fornitura, da parte di quest’ultima, di una serie di servizi di supporto. La casa d’aste dispone di un organico di qualificati esperti per ogni genere di opere, adusi al mercato, ma con dimestichezza anche delle problematiche amministrative e giuridiche che possono connotarle (notifiche, certificati di temporanea importazione, ecc.).

Il primo dei servizi di supporto è necessariamente rappresentato dal convenire la delimitazione di campo dei beni accettabili in garanzia. A titolo di esempio, potrebbero essere esclusi (salvo particolari situazioni da valutare in via eccezionale) i reperti archeologici, sempre di qualche problematicità, tra i dipinti ammesse le tele e non le tavole, di ben più difficile conservazione, nell’ambito del “volatile” contemporaneo, se considerato, potrebbero porsi varie limitazioni, tipologiche, di datazione e così via. Circa i mobili, se accettati, le discriminazioni ipotizzabili sono le più varie.

Per tutte le opere, i presupposti imprescindibili di valutabilità dovrebbero essere l’ottima condizione di conservazione materiale e la provenienza documentabile, nei limiti del ragionevole.

Per ovviare alla proliferazione di costose istruttorie inutili, l’avvio della pratica di finanziamento dovrebbe consistere nella puntuale compilazione da parte del cliente di un analitico questionario fornito dalla banca (e predisposto ex ante dai tecnici incaricati in sede di avvio del servizio) per ogni singolo bene e dalla messa a disposizione, sempre da parte del cliente, di un adeguato corredo fotografico delle opere offerte in garanzia.

Superato un severo vaglio documentale, diverrà quasi sempre indispensabile l’esame diretto dei beni. Terminata l’istruttoria, i tecnici incaricati dovranno esprimere sia il giudizio d’ammissibilità di ciascuno di essi sia la sua valutazione di mercato. Per il finanziamento lo scarto potrebbe ragionevolmente andare dal 50 al 70/75% del valore attribuito.

Quanto alla conservazione delle opere date in pegno, gli spesso sontuosi – ma ormai quasi inutili – caveau bancari sembrano l’ideale per la bisogna. Con, o in alternativa a essi, gli attrezzati depositi della casa d’aste partner.

Da ultimo, resta da considerare il tema dell’eventuale patologia del rapporto di finanziamento. La questione dovrà trovare preliminare regolamentazione analitica nel contratto banca/cliente e, per evidenti ragioni di trasparenza e di tutela degli interessi di entrambe le parti, non potrà che sostanziarsi nella pattuizione di disporre la vendita all’incanto dei beni artistici dati in pegno, utilizzando la casa d’aste convenzionata. Il prezzo di riserva di ogni singolo bene offerto potrà consistere nel valore assunto per la concessione del finanziamento (id est: stima convenuta diminuita dello scarto applicato). È evidente che per questa tipologia di finanziamento, in caso di inadempimento, non superabile in via ordinaria da parte del cliente – ad esempio tramite le consuete dilazioni – l’azienda bancaria si troverà nella positiva condizione di poter utilizzare una procedura di recupero del proprio credito ammalorato estremamente rapida ed efficace: le primarie case d’asta realizzano vendite delle diverse tipologie di beni artistici a cadenze assai serrate e l’esperienza consolidata dimostra che le opere importanti, “giuste”, come definite in precedenza, di fatto trovano sempre acquirenti.