Paesi in via di sviluppo sempre più a rischio di default

Secondo la World Bank, oggi i soli interessi sul debito rappresentano in media il 46,5% delle loro entrate di bilancio, il 41,6% della spesa, l'8,4% del Pil.

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Fonte immagine: Freepik

I Paesi in via di sviluppo stanno affrontando la peggior crisi finanziaria della storia e molti di loro sono a rischio di default. Lo sottolinea un’inchiesta di Repubblica sulle difficoltà che stanno affrontando i paesi più poveri del pianeta. Sui 144 Paesi che la World Bank considera “developing” e in particolare sui 75 ammessi all’iniziativa “Heavily indebted poor country“, negli ultimi degli ultimi, si sono abbattuti in rapida successione eventi della portata del Covid, di siccità, inondazioni e carestie spaventose dovute ai cambiamenti climatici, guerre come Ucraina e Medio Oriente ma soprattutto guerriglie e faide interne che non sono mai state così virulente. E ancora: crisi energetica, ondata inflattiva, rialzi dei tassi (solo ora è cominciata l’inversione di tendenza), rincari del dollaro (la valuta in cui sono espressi quasi tutti i debiti dei Paesi in via di sviluppo). Risultato: oggi i soli interessi sul debito – denuncia la World Bank – rappresentano in media il 46,5% delle loro entrate di bilancio, il 41,6% della spesa, l’8,4% del Pil.

«Sono cifre che vanno rapportate a realtà difficili, spesso estreme, e quindi più pesanti di quello che significherebbero in un Paese occidentale dove c’è tutta un’altra base industriale, istituzionale, strutturale», commenta Angelo Baglioni, economista internazionale della Cattolica. Oltretutto, secondo Brunello Rosa della London School of Economics sono cifre approssimate per difetto: «La maggior parte di questi Paesi, molti dei quali retti da dittature militari, non pratica alcuna trasparenza contabile e gli accordi economici sui prestiti vengono condotti in tutta segretezza. Segreti gli ammontari, i finanziatori, le clausole contrattuali, quando c’è un contratto. Di fatto, molti Paesi sono ormai nelle mani dei finanziatori, chiunque essi siano». Rispetto a precedenti crisi debitorie, come nel 1982 o nei primi anni ’90, aggiunge Rosa, «la situazione è cambiata, a partire dal fattore-Cina: Pechino, maestra nell’architettare clausole-capestro, finanzia infrastrutture in Africa e Asia meridionale dando in prestito oneroso i finanziamenti necessari e imponendo rigidi paletti di restituzione. Senonché in molti casi i Paesi in questione, soprattutto per i rincari dei tassi, non sono in grado di onorare il debito e finiscono col cedere le infrastrutture stesse al creditore cinese che così completa l’opera di colonizzazione».

A differenza del passato, poi, la maggior parte dei creditori non sono più i Paesi occidentali ma istituzioni finanziarie private, comprese quelle che hanno acquisito sui mercati secondari gli Npl. «Ciò significa – spiega Rosa – che rinegoziare un debito in sofferenza un tempo veniva fatto presso il “Club di Parigi” dove siedono gli Stati sovrani, ormai è impossibile».

La World Bank ha anticipato che nel 2023 si è superato quello che già nel 2022 era stato il record storico: 443,5 miliardi di dollari in interessi pagati dai 144 Paesi in via di sviluppo, quattro volte più di dieci anni prima.