Oggi è constatazione accolta ecumenicamente dai practitioners del diritto (se non anche dai teorici) quella giusrealista, secondo cui la legge la fanno i tribunali (nostrani o euro unitari) ed è solo questa quella che conta, perché quella dei codici è cosa d’altri tempi, è ormai petizione di principio.
Due casi recenti confermano la constatazione appena fatta: la “morte” del giudicato implicito, decretata dalla Corte di giustizia europea (CGUE) e dalla Corte di cassazione e la giurisprudenza di legittimità sulla prova del credito ceduto.
Fine pena mai
Fino alle sentenze della Corte di Giustizia dell’UE del 2022, era principio indiscusso quello secondo cui il DI, non opposto dal debitore, si considerasse passato in giudicato, con la conseguente impossibilità per lo stesso di sollevare, in sede d’azione esecutiva, eccezioni nel merito (neppure se fossero state presenti clausole vessatorie). Va notato, per il vero, che la norma sul giudicato (art. 2909 cc) si riferisce solo alle sentenze e che è stata la Cassazione, con orientamento tetragono, ad assimilare il decreto ingiuntivo non opposto (a cui l’art. 647 cpc attribuisce solo efficacia esecutiva, che è cosa ben diversa dal passaggio in giudicato) a una sentenza, sancendone “per osmosi” la possibilità di divenire cosa giudicata. Si trattava, pertanto, di un mero principio giurisprudenziale. A dimostrare, però, che tali principi sono più forti della legge, sta la reazione delle Sezioni unite della Cassazione alle sentenze della CGUE.
Le nostre Sezioni unite avrebbero potuto ammettere di essersi sbagliate e precisare che il DI non opposto non passa in giudicato come era stato in precedenza detto, ma, è semplicemente titolo esecutivo e, quindi, le clausole vessatorie possono essere affrontate dal giudice dell’esecuzione. In questo modo, tra l’altro, si sarebbero uniformate alle sentenze del CGUE. Invece hanno creato nuovo diritto, ritenendo applicabile il procedimento dell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo nel corso di una procedura esecutiva (vero monstrum processuale).
La Cassazione, con questa funzione creativa, ha però ecceduto il proprio compito, che è quello d’interpretare una norma interna in modo conforme al diritto comunitario o, se non possibile, disapplicarla. Invece, la Corte ha dettato un vero e proprio (inammissibile) vademecum processuale, peraltro rivolto ai giudici di merito, che non era suo compito dettare.
A fronte delle sentenze della CGUE, avrebbe dovuto intervenire, invece, il Legislatore, per dare certezza ai creditori e ai debitori. Peraltro, ho seri dubbi che le sentenze della CGUE potessero essere applicate come lo sono state, perché, esse hanno, di fatto, dato applicazione immediata in Italia a una Direttiva, che, invece, si sa, deve essere recepita dal Legislatore interno, che però, come detto, non si è presentato all’appello. Di certo, la possibilità che, nel corso di un’esecuzione, il debitore o il giudice, possano sollevare, magari a distanza di anni dall’inizio della procedura esecutiva, l’eccezione di vessatorietà delle clausole contrattuali è una dichiarazione di “fine pena mai” per il creditore. Attendiamo che il Legislatore si assuma le proprie responsabilità, perché – non va dimenticato – la certezza del diritto (anche quello di credito) è elemento alla base dell’efficienza del Sistema Paese.
Il cessionario non fortunato
Racconto una storiella verosimile. Una banca cede diecimila crediti a una finanziaria (Finanziaria 1). Stipulano il contratto di cessione e indicano in un file Excel i nominativi di tutti i creditori ceduti. La Finanziaria 1, dopo qualche mese, cede, a sua volta, quei diecimila crediti a una seconda finanziaria (Finanziaria 2), con le medesime forme (contratto e file Excel).
La Finanziaria 2 agisce in giudizio contro uno dei debitori, il quale eccepisce che essa non è titolare del credito, ovverosia che non è vero che la banca abbia ceduto a Finanziaria 1 e che non è vero che Finanziaria 1 abbia ceduto a Finanziaria 2. Quest’ultima rischia di perdere la causa e il credito. Le difficoltà in cui si trova Finanziaria 2 sono: produrre il primo contratto di cessione (Banca – Finanziaria 1), non sempre nella sua disponibilità; produrre un allegato al contratto di cessione da cui risulti la presenza del credito specifico nella prima e nella seconda cessione (poiché sono diecimila crediti, spesso si fa tutto con Excel e ciò che si riesce a produrre è un semplice foglio, che non ha alcuna connessione con il contratto di cessione).
Per il futuro la questione dovrebbe esaurirsi in forza delle nuove norme in arrivo di recepimento della direttiva europea sul mercato secondario dei crediti, che impone una dettagliata informativa ai debitori sul trasferimento delle loro obbligazioni.
Ma rimane un notevole contezioso da gestire per il passato. La Giurisprudenza, a fronte di una contestazione da parte del debitore (contestazione oggi sempre presente in qualsiasi opposizione), impone al cessionario di provare tutti i contratti di cessione e l’inclusione in ciascuno di essi dello specifico credito.
Su questo stato di fatto (che non trovo per nulla scandaloso, anzi) faccio due osservazioni:
- i legali interni di cedenti e cessionarie, che curano i contratti di cessione, dovrebbero adeguare le modalità di cessione alle indicazioni della Cassazione (rara avis);
- i giudici dovrebbero dare ingresso a eccezioni di questo tipo da parte dei debitori solo quando esse siano specifiche, come accade quando il debitore prova di aver ricevuto una richiesta di pagamento da un altro creditore (caso, peraltro, disciplinato specificamente dal nostro Codice civile: art. 1265 cc).
Come può il debitore affermare che non sarebbe stato stipulato alcun contratto di cessione, posto che egli è del tutto estraneo a tale contratto? Come può il giudice non tenere conto che Finanziaria 2 agisce in giudizio producendo il contratto, gli estratti conto certificati della banca originator e, magari, i documenti personali del debitore? Ma, soprattutto, mi domando, quale interesse abbia il debitore a eccepire il difetto di titolarità di Finanziaria 2?
Per il debitore è, infatti, indifferente a chi paga, essendo sufficiente che egli paghi e si liberi. Forse si dovrebbe ricordare che anche se il debitore pagasse (in forza di sentenza) a Finanziaria 2 e questa si rivelasse non essere creditrice (cd. creditrice apparente), il debitore sarebbe liberato. Chi lo dice? Un giudice? No, l’articolo 1189 cc. Forse che il Codice civile non sia poi così tanto démodé?
Parafrasando “Aspettando Godot” il creditore che rimane in attesa del pagamento del proprio credito rischia di fare la fine di Vladimiro ed Estragone. O, forse (e peggio), di Lucky, il servo tenuto al guinzaglio come un animale.