La norma “anti-abuso” introdotta nella disciplina del cram-down rischia di depotenziare le transazioni fiscali, penalizzando anche le proposte convenienti per l’erario. È il punto di vista espresso da Fabrizio Garofoli, Head of Insolvency a Bernoni Grant Thornton, in un intervento scritto per Il Sole 24 Ore. Con il termine di cram-down ci si riferisce all’imposizione forzata dell’accordo ai creditori dissenzienti.
L’interesse nei confronti della transazione fiscale è cresciuto notevolmente negli ultimi due anni. Questo istituto, introdotto nel 2006 e ampliato nel 2016 per includere la falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute, ha raggiunto la sua massima portata con l’introduzione del cram down nel 2020, che permette appunto l’imposizione forzata dell’accordo ai creditori dissenzienti.
Nel biennio 2023-2024, l’istituto è stato oggetto di rilevanti modifiche legislative che ne hanno depotenziato la portata. Una delle modifiche più recenti riguarda la norma “anti-abuso”, che ha inasprito i limiti all’applicazione del cram down negli accordi di ristrutturazione dei debiti, portando le soglie dal 30-40% del debito al 50-60 per cento. Non è tanto l’impatto quantitativo della modifica a depotenziare l’istituto – sottolinea l’articolo – quanto piuttosto la norma anti-abuso stessa, che penalizza anche le proposte convenienti per l’Erario. «L’introduzione del cram down – ha sottolineato Garofoli – nasceva con l’intento di sopperire alle inefficienze degli enti che, di fronte a proposte palesemente convenienti, esprimevano il proprio diniego o non si esprimevano in alcun modo. E dunque, la portata generale della norma anti-abuso finirebbe per penalizzare anche le proposte convenienti per l’Erario, ma semplicemente “sotto soglia” esponendo così le imprese al pericolo delle inefficienze degli enti».