Nelle procedure esecutive già in corso, sul privilegio fondiario pende ancora la minaccia dell’incostituzionalità. Il pericolo è stato riproposto, in questi giorni, nell’articolo di un magistrato (F. Lamanna, La probabile illegittimità costituzionale del perdurante privilegio processuale del credito fondiario, in ius.giuffré.it, 7 gennaio 2025), secondo il quale la Corte Costituzionale potrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma, l’art. 150 delnuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Ccii), che finora ha consentito alle banche di attivare le procedure esecutive previste in caso d’insolvenza dei crediti fondiari, invece di limitarsi a chiedere l’ammissione al passivo per rispettare il principio della par condicio creditorum. È un’interpretazione che, se accolta, avrebbe conseguenze assai rilevanti, non soltanto sulle procedure in corso ma anche sulle strategie e sui tempi di recupero dei crediti fondiari. Senza dimenticare quanto questo potrebbe incidere sull’appetito delle banche a concedere in futuro crediti fondiari nonché sulle condizioni economiche.
Nonostante le critiche alla tecnica legislativa impiegata nel nuovo Ccii, i dubbi sulla costituzionalità dell’articolo 150 – che mantiene il privilegio processuale fondiario in caso di liquidazione giudiziale – sembrano infondati. Vediamo perché.
La vecchia legge fallimentare
L’articolo 51 della legge fallimentare stabiliva che, con la dichiarazione di fallimento (oggi liquidazione giudiziale), i creditori dovevano sospendere le azioni esecutive contro il debitore, chiedendo solo l’ammissione al passivo per rispettare il principio di par condicio creditorum. Tuttavia, il testo escludeva i casi regolati da specifiche disposizioni di legge, come l’articolo 41, comma 2, del Testo Unico Bancario (Tub) sul credito fondiario. Questo consentiva ai creditori fondiari di proseguire le azioni esecutive anche durante il fallimento, permettendo alle banche d’incassare i proventi della vendita degli immobili ipotecati, pur dovendo poi richiedere l’ammissione al passivo.
La legge delega e le intenzioni del legislatore
La legge delega (l. 155/2017) per il Ccii indicava chiaramente di eliminare privilegi processuali, compresi quelli fondiari. Prevedeva, tuttavia, una deroga temporanea: il privilegio fondiario sarebbe rimasto operativo fino a due anni dopo l’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi.
Il nuovo Codice della crisi
Il Ccii, all’articolo 150, ha però mantenuto la formulazione della vecchia legge fallimentare: “salva diversa disposizione di legge”. Questo ha permesso al privilegio fondiario di sopravvivere, richiamando implicitamente l’articolo 41, comma 2, del Tub. La Cassazione (sentenza n. 22914/2024) ha confermato la validità di questa impostazione, ribadendo che il privilegio fondiario è tuttora applicabile.
Il rischio d’incostituzionalità
Nonostante il via libera della Cassazione, rimane il dibattito sulla conformità costituzionale dell’articolo 150 Ccii. Alcuni ritengono che la mancata abrogazione del privilegio rappresenti una semplice mancata attuazione della legge delega, senza conseguenze costituzionali. Altri, invece, vedono un contrasto diretto con i criteri della delega, configurando un rischio d’incostituzionalità per violazione dell’articolo 76 della Costituzione.
Il dibattito dottrinale
Le posizioni sono divergenti. Da un lato, studiosi come M. Fabiani sostengono che la situazione rientri nel campo della discrezionalità legislativa, non configurando violazioni costituzionali. Dall’altro, voci autorevoli come quella di Lamanna, evidenziano una possibile violazione implicita della delega legislativa, con conseguenti rischi d’illegittimità costituzionale sopravvenuta. Pur con un tono elegante e dubitativo, Lamanna sostiene che la conclusione più attendibile di una pronuncia della Corte Costituzionale sarebbe quella di constatare “un’implicita, ma frontale violazione del criterio direttivo di cui all’art. 7 […] non potendosi parlare di una semplice mancata attuazione della delega”. Secondo l’illustre magistrato, pertanto, “ne dovrebbe derivare, come corollario, la probabile illegittimità costituzionale – quanto meno sopravvenuta – dell’art. 150 Ccii”.
Un precedente illuminante
Tuttavia, un caso analogo (di mancata abrogazione di una norma, nonostante l’invito della legge delega) si è verificato con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 257/2005, che ha escluso l’incostituzionalità in caso di esercizio incompleto della delega, salvo stravolgimenti dei principi direttivi. Applicando questo precedente al Ccii, appare improbabile che l’articolo 150 sia dichiarato incostituzionale, a meno di un cambio di orientamento della Corte.
Conclusione
La questione resta aperta, ma la probabilità che l’articolo 150 Ccii resista sembra più alta rispetto a quella di una dichiarazione d’incostituzionalità. Non resta che seguire l’evoluzione del dibattito giuridico. Di sicuro, non attenderemo invano come il Tenente Drogo: presto arriveranno i Tartari.