Il Tribunale di Verona ha rigettato un piano di composizione negoziata della crisi aziendale, poiché finalizzato alla liquidazione piuttosto che alla prosecuzione dell’attività. La composizione negoziata – sottolinea un decreto della corte scaligera del 10 marzo – deve prevedere la prosecuzione dell’attività, anche tramite cessione aziendale, e non può essere limitata alla liquidazione dei beni. L’esito liquidatorio è consentito solo in casi estremi, dopo tentativi falliti di risanamento.
Nel commentare la sentenza, Il Sole 24 Ore sottolinea che una delle questioni più controverse in tema di misure protettive nella composizione negoziata è quella della richiesta di misure per tentativi di risanamento non fondati sulla prosecuzione dell’attività aziendale (cosiddetta «composizione negoziata della crisi liquidatoria»).
In precedenza, il Tribunale di Mantova aveva stabilito che la condizione oggettiva per accedere alla composizione negoziata della crisi potesse ritenersi coincidere non solo con lo stato di crisi, ma anche con quello di insolvenza (prospettica o già conclamata), ritenendo che la composizione negoziata della crisi – ha chiosato il giornale – «potesse essere indirizzata anche alla mera liquidazione del patrimonio. In quel caso, la prosecuzione dell’attività di impresa era temporanea ed era strumentale alla liquidazione dei beni dell’impresa, alla quale il debitore aggiungeva un plus, costituito dall’apporto di beni personali».
In direzione opposta è andata invece la decisione dei giudici veronesi, che hanno rigettato un’istanza di conferma di misure protettive nella composizione negoziata della crisi proprio in ragione della natura meramente liquidatoria del piano presentato dalla debitrice.
Nel caso di specie, la società richiedente la composizione negoziata era di fatto inattiva, priva di dipendenti e di risorse. L’obiettivo della procedura era basato sulla cessione di un unico cespite immobiliare in favore di un terzo, il quale non aveva, peraltro, formulato alcuna offerta vincolante. Un’ulteriore criticità del tentativo di composizione negoziata era rappresentata dall’assenza di indicazione, neppure sommaria, delle modalità di soddisfazione da proporre ai creditori nell’ambito delle trattative.
Tale proposta – priva nella sostanza di una prospettiva di continuazione dell’attività aziendale e sin anche generica nella formulazione – ha rappresentato un’occasione per i giudici veronesi di ricordare, anzitutto, che le iniziative intraprese dalla debitrice devono essere illustrate in modo completo ed esaustivo nel piano di risanamento, di cui all’articolo 19, comma 2, lettera d), del Codice della crisi d’impresa; piano che non può essere limitato alla mera liquidazione dei beni, ma deve prospettare la prosecuzione dell’attività (eventualmente anche in capo a terzi per cessione del compendio aziendale).