L’economista che, forse più di tutti, ha compreso il ruolo sociale della Banca e del Banchiere (le maiuscole non sono un caso né un refuso di stampa) è stato Joseph Alois Schumpeter (Teoria dello sviluppo economico, 1912), il quale ha descritto il modo in cui la nostra economia – quella capitalistica – è diversa da quella raccontata dagli economisti neoclassici (quelli che dominano l’accademia e l’agenda politica degli ultimi cinquant’anni e che, non solo non hanno visto arrivare le ultime crisi finanziarie, ma le hanno provocate con i loro modelli e teorie astratte).
Schumpeter ha sviluppato l’intuizione del Keynes della Teoria generale, secondo cui l’economia capitalistica (o monetaria) si distingue da quella “da baratto” descritta nella teoria marginalista dell’equilibrio per un dato essenziale: l’incertezza. Questa – a differenza del rischio neoclassico, tipico dei giochi d’azzardo – è quella situazione in cui, per rubare le parole a Keynes, semplicemente non sappiamo, neppure in modo probabilistico, com’è, invece, per il rischio da dadi da gioco. Schumpeter ha ricordato che l’economia capitalistica è quella nella quale la figura essenziale è rappresentata dall’’imprenditore- innovatore, colui che introduce un nuovo prodotto, una nuova metodologia di produzione o apre un nuovo mercato.
Mentre l’economia di cui parlano i manuali di economia è un’economia che può solo crescere (ma rimanere sempre uguale a sé stessa – neppure qui alcun refuso tipografico – nella sostanza), l’economia capitalistica è quella che si sviluppa e cambia di continuo. Di qui l’incertezza radicale. Nessuno – né l’imprenditore-innovatore, né il banchiere – può sapere se l’innovazione verrà accolta favorevolmente o meno.
Lo strumento che il Banchiere ha per consentire all’innovatore d’innovare è la moneta bancaria, che, a differenza di quanto sostengono gli economisti mainstream, non è un velo neutro (che copre un’economia “grano”, di puro baratto), né è semplicemente trasferita dai risparmiatori ai prenditori, con la banca a svolgere un ruolo da mero intermediario. È, invece, la Banca che – come sostengono gli economisti eterodossi, come lo sono stati Keynes e Schumpeter ai loro tempi – crea denaro ex nihilo e lo offre a colui che intraprende, perché possa far sviluppare l’economia e non solo farla crescere. La storia (si leggano le ricerche di Braudel, Polanyi e, soprattutto, Gerschenkron) dimostra plasticamente quanto la moneta bancaria sia stata e sia l’istituzione cardine del capitalismo moderno. Senza la moneta non avremmo potuto avere la civiltà, senza quella bancaria il capitalismo (con buona pace della visione di Weber).
Tutto ciò spiega – come ci ha ricordato un post-keynesiano come Hyman Minsky con la sua Teoria dell’instabilità finanziaria – la doppia natura dell’economia moderna, che vedrà sempre alternarsi periodi di boom a periodi di crisi. Esistono antidoti per questi ultimi? È una domanda insidiosa. Di sicuro, be true bankers potrebbe essere un ottimo inizio per garantire “sviluppo stabile” o “sostenibile” come oggi si direbbe: un ossimoro, ma bellissimo.