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di esaminare le sue performance, ha eviden- ziato l’obsolescenza del software della banca. La Commissione ha anche sollevato valide preoccupazioni sul “potere non eletto” dei banchieri centrali. Nel 1997 l’allora Cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown fissò l’obiettivo di inflazione annuale del Regno Unito al 2,5% (succes- sivamente ridotto al 2%) e diede alla BoE l’“indipendenza operativa” per raggiungerlo. Da allora la Banca ha assunto un controllo ancora maggiore sulla politica economica, pompando 875miliardi di sterline (1,1 trilioni di dollari) nell’economia britannica attraver- so il suo programma di “quantitative easing” in risposta alla crisi finanziaria globale del 2008/2009. Come ha osservato il presidente della Commissione Affari Economici George Bridges, l’aver esternalizzato la politica ma- croeconomica dal governo ai banchieri cen- trali – ora pratica standard nelle economie sviluppate – ha rappresentato “un enorme trasferimento di potere dai rappresentanti eletti ai funzionari non eletti”. Dato che i tassi di interesse influenzano non solo il valore del denaro, ma anche la disoc- cupazione, la crescita e la distribuzione, si potrebbe sostenere che la politicamonetaria, come la politica fiscale, debba essere gestita dai governi, che sono responsabili nei con- fronti degli elettori. Tuttavia, nonostante le critiche all’operato della BoE, il rapporto non ha messo in discussione il principio dell’in- dipendenza della banca centrale. Invece, si sono concentrati sullemodalità per allineare la libertà della Banca di fissare i tassi di in- teresse “indipendentemente dalla pressione politica” con la responsabilità del governo per la politica economica. L’idea che l’indipendenza della banca cen- trale sia sacrosanta risale alla controrivolu- zione monetarista di Milton Friedman negli anni ‘70, che pose fine all’egemonia della socialdemocrazia keynesiana. Friedman sosteneva che le economie di mercato sono “anticiclicamente stabili” al loro “tasso na- turale di disoccupazione”, a condizione che i partecipanti al mercato non siano ingannati dai tassi di inflazione variabili. Questa argo- mentazione restringe di fatto l’ambito della politica macroeconomica al mantenimento della stabilità dei prezzi. Dalmomento che la politicamonetaria, come la politica fiscale, influenza l’attività econo- mica con “ritardi lunghi e variabili”, affidare il controllo dell’inflazione alle banche cen- trali indipendenti – isolate dall’interferenza politica e operanti secondo regole meccani- che – impedirebbe ai politici di manipolare l’offerta di moneta. I banchieri e gli esperti di politica economica si sono affrettati ad abbracciare il vangelo monetarista di Friedman. In un discorso del 1984, l’allora Cancelliere dello Scacchiere Nigel Lawson capovolse la precedente orto- dossia keynesiana. A suo avviso, l’obiettivo della politica macroeconomica dovrebbe es- sere “la conquista dell’inflazione”, non “il perseguimento della crescita e dell’occupa- zione”. Al contrario, la politica microecono- mica dovrebbe concentrarsi sulla “creazione di condizioni favorevoli alla crescita e all’oc- cupazione”, piuttosto che sulla soppressione dell’inflazione. La lezione di Lawson ha rappresentato un ri- torno alla “dicotomia classica” dell’economia pre-keynesiana, che tratta le variabili reali (come l’occupazione) e le variabili nomina- li (come i livelli dei prezzi) come separate. Secondo questo punto di vista, le riforme dal L’idea che l’indipendenza della banca centrale sia sacrosanta risale alla controrivoluzione monetarista di Milton Friedman negli anni ‘70 , che pose fine all’egemonia della socialdemocrazia keynesiana. B E | B AN K E R S 9

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