Ragionare del reperforming di crediti deteriorati in un’ottica etico-commerciale vuol dire interrogarsi su come agevolare una integrazione, necessaria e possibile, degli interessi delle parti del rapporto debito-credito. Interessi, questi, solo all’apparenza ineludibilmente contrapposti, schiacciati tra chi non vuole o non può pagare e chi vuole essere pagato. Una narrativa così semplice da risultare semplicistica, cieca a una realtà molto più sfaccettata e articolata.
Oltre alla constatazione, ovvia per larga parte dei professionisti del credito, che in molti casi i debitori vorrebbero pagare ma semplicemente non sono nelle condizioni di farlo e non necessariamente per mancanza di mezzi finanziari ma per la paura di non riuscire a mettere la parola fine a quella che dovrebbe essere una parentesi sfortunata della propria vita, vale l’altrettanto ovvia considerazione che il credito ha un valore in tanto in quanto che c’è qualcuno che è in grado di pagarlo. Tanto basta per concludere, come hanno fatto coloro che, a giusto titolo, possono fregiarsi di essere i precursori del reperforming in Italia, che l’obiettivo di instaurare una leale cooperazione tra debitori e creditori dovrebbe essere la strategia di elezione nella maggioranza dei casi, in grado di massimizzare i vantaggi degli uni e degli altri e, se si vuole, della comunità più ampiamente intesa.
L’attuazione di questa strategia richiede anzitutto la volontà delle parti di cooperare ma questa buona volontà è tanto più probabile e fruttuosa quanto più si inserisce in un sistema che la valorizza e la supporta. Questo contesto può essere fatto di incentivi economici di vario genere ma prima ancora passa per la “regola”, quale potente principio ordinatorio delle interazioni umane. È proprio seguendo questo ordine di pensiero che gli emendamenti proposti da […] alla legge di bilancio perseguono la creazione della possibilità giuridica di immaginare nuovi schemi ed effetti a cui ricondurre l’attività delle parti, sempre senza perdere di vista gli altri legittimi interessi in gioco (ad es. certezza del diritto, copertura finanziaria, ecc.).
Gli emendamenti in questione rappresentano solo un primo, e se si vuole tutto sommato limitato, intervento ma che potrebbe fare da apriprista a un più ampio programma di riforma. Nella sostanza questi emendamenti hanno ad oggetto alcuni passaggi dell’articolo 7.1 della Legge 130/99 sulla cartolarizzazione dei crediti e seguono tre principali linee di intervento.
Da un punto di vista tecnico, il primo set di modifiche è volto ad ampliare la portata del primo comma del predetto articolo, vera e propria pietra angolare dell’intera normativa speciale in esso contenuto e, in ciò, tali modifiche risultano concettualmente propedeutiche a quelle successive. In sostanza e in sintesi, l’emendamendo si ripropone di far rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 7.1, e quindi di tutti gli strumenti in esso previsti, qualsiasi credito deteriorato cartolarizzato, e ciò a prescindere da chi sia il soggetto cedente (banca, intermediario finanziario, altro precedente acquirente del credito ivi incluse società di cartolarizzazione).
Il secondo intervento ha invece ad oggetto il comma 8-bis dell’art. 7.1 in materia di cartolarizzazioni sociali e ha l’obiettivo dichiarato di rimuovere quegli elementi della normativa di settore che sono percepiti dagli operatori come i veri limiti operativi di questo strumento, e che ne hanno impedito la diffusione. Nella sua configurazione attuale, stando alla lettera della legge, parrebbe che la disciplina speciale per esso prevista si applichi solo nel contesto di operazioni di cartolarizzazione di crediti che devono essere tutti oggetto di una strategia di workout che prevede un sell and lease back[1] del bene immobile a garanzia con opzione finale di acquisto.
Questa impostazione costituisce un elemento di forte rigidità che non favorisce l’impiego dell’istituto. Qui la proposta contenuto nell’emendamento è piuttosto semplice: non è una specifica tipologia di cartolarizzazione ad avere valenza sociale, tutte le cartolarizzazioni “possono” avere valenza sociale tant’è che il focus deve essere spostato dalla SPV alla società veicolo di appoggio (vale a dire il soggetto destinato, nell’ambito di una cartolarizzazione, a divenire titolare degli immobili posti a garanzia dei crediti cartolarizzati e, in gergo noto come ReoCo , ndr).
Per effetto di questo intervento, qualunque credito cartolarizzato sarebbe astrattamente idoneo ad entrare a far parte dello schema concepito dagli ideatori delle cartolarizzazioni sociali e ciò a prescindere che si tratti di un’operazione già ab origine pensata a questo fine. Nei suoi tratti essenziali lo strumento rimane uguale a sé stesso ma si presuppone che la rinnovata flessibilità ne agevoli l’uso e la diffusione permettendo agli operatori di ricorrere ad esso ogni qual volta, pur nell’ambito di un più ampio portafoglio, sussistano specifici casi che ne giustifichino l’impiego.
Infine, l’ultimo intervento proposto, quello che modifica il comma 2 dell’art. 7.1 in tema di concessione da parte della SPV di “finanziamenti finalizzati a migliorare le prospettive di recupero [dei] crediti e a favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto”. In questo caso, l’obiettivo è duplice e viene perseguito muovendosi lungo due direttrici separate.
Innanzitutto, si chiarisce meglio quali siano le condizioni da rispettare affinché la SPV possa concedere tali finanziamenti nel contesto di una cartolarizzazione di crediti deteriorati, ponendo fine ad un difetto di coordinamento rispetto a quanto previsto all’art. 1, comma 1-ter, della legge 130. Nello specifico, il rimando alle condizioni previste nel comma 1-ter (che esclude le persone fisiche dal direct lending da parte di una SPV) viene quindi ricondotto alle specifiche previsioni di cui ai punti (a), (b) e (c) del predetto comma e, a scanso di equivoci, si inserisce l’importante specifica che include espressamente le persone fisiche tra i debitori possibili prenditori.
La seconda parte di questa proposta è, a nostro modo di vedere, ancora più interessante ed è volta a risolvere un problema tecnico ben noto agli operatori. In tema di reperforming, sussiste una forte (e, per certi versi, ingiustificata) disparità di trattamento giuridico e regolamentare a seconda che il credito in questione sia un UTP o una sofferenza.
Nel primo caso, infatti, sussistendo un rapporto in corso, una volta identificata la rata sostenibile, il nuovo tasso di interesse e il piano di ammortamento, la SPV può, con la collaborazione del titolare del rapporto (banca originator o fronting entity), procedere direttamente alla ridefinizione dei termini del loan con un semplice accordo di modifica.
Per le sofferenze, invece, essendo di regola intervenuta una risoluzione del rapporto contrattuale a monte, anche in assenza di nuova finanza (e, quindi, anche laddove si voglia semplicemente rifinanziare l’esistente) il reperforming passa necessariamente per la ricostruzione di un nuovo rapporto di finanziamento che imporrebbe il rispetto delle condizioni di cui ai punti (a), (b) e (c) dell’art. 1, comma 1-ter, della legge 130, tra cui la più problematica è l’ultima. Essa richiede, come noto, che una banca o un intermediario finanziario agisca come sponsor della cartolarizzazione e detenga il 5 per cento dell’operazione stessa.
Per evidenti ragioni, si tratta di un requisito ingiustificato rispetto alle finalità dello strumento e certamente non nell’interesse dei debitori “cartolarizzati” che vogliano perseguire un percorso di riabilitazione finanziaria rispetto ad un debito già esistente. In questa fattispecie (assenza di nuova finanza), la proposta prevedere che l’unica condizione da soddisfare è che il processo di rifinanziamento avvenga per il tramite di una banca o un intermediario finanziario (in modo da garantire il rispetto dei presidi propri di una qualsiasi forma di erogazione di credito).
La locuzione impiegata è volutamente ampia al fine di lasciare agli operatori gli spazi necessari per trovare soluzioni operative che permettano loro di non rimanere imbrigliati nelle restrizioni che potrebbero essere previste in altri corpi normativi (in primis la SMD).
Intervento durante la tavola rotonda del 18 novembre 2024, organizzata a Milano da Fondazione Antiusura San Bernardino e CaritasAmbrosiana. Vedi articolo BeBankers
[1] sell and lease back, accordo in cui un soggetto vende un immobile a un imprenditore finanziario ma rimane affittuario dello stesso immobile per un periodo determinato pagando un canone al nuovo proprietario. Alla scadenza del contratto, il concessionario ha la facoltà di riacquistare la proprietà del bene pagando un prezzo finale, di prorogare l’affitto, oppure di restituire definitivamente il bene al concedente.