Rientra nella nozione di operazioni dolose il sistematico mancato pagamento di imposte e contributi che determina un carico debitorio ingente. A ribadirlo – scrive Italia Oggi – è una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 36585 del 2 ottobre 2024) in tema di bancarotta da operazioni dolose. Il caso in esame traeva origine dalla sentenza della Corte d’appello di Napoli, che riteneva un’amministratrice di una s.r.l. responsabile del reato di bancarotta da operazioni dolose, condannandola alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione. Avverso la sentenza proponeva ricorso il difensore di fiducia, articolando diversi motivi.
La difesa contestava, in particolare, la violazione di legge con riferimento alla prova del dolo e del nesso causale tra le operazioni contestate ed in particolare l’accumulazione del debito previdenziale e tributario ed il dissesto della società fallita. Sarebbero mancate, secondo il ricorrente, le prove della incapacità della società di far fronte alle obbligazioni da cui desumere la sussistenza del nesso causale fra la condotta e la causazione del fallimento. La Corte, nel dichiarare il ricorso infondato, ha ribadito che, in tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose attengono alla commissione di abusi di gestione o infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria dell’impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento e distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (sent. n. 47621 del 25/09/2014, Sez. V). In quest’ottica, la Corte ha confermato il giudizio di primo grado secondo secondo cui per operazioni dolose si deve intendere il “protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società“. Con specifico riferimento all’omesso versamento delle imposte dovute, poi, si è affermato che tale condotta integra il reato di fallimento cagionato da operazioni dolose, dal momento che, in tal modo si viene a gravare la società da ingenti debiti nei confronti dell’erario. Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la sentenza impugnata ha ricostruito le vicende finanziarie della società, sottolineando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale della amministratrice, posta in essere fin dal 2004, che aveva determinato una situazione debitoria crescente, protrattasi fino al fallimento, e che pertanto si caratterizzava come estesa e sistematica.