Clausola floor nei mutui non è un derivato implicito e non è vessatoria

Lo ha ribadito la Cassazione con una recente ordinanza (n. 1942 del 28 gennaio 2025)

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1942 del 28 gennaio 2025, ha ribadito un importante principio in materia di contratti di mutuo e clausole di indicizzazione degli interessi. Al centro della questione, la cosiddetta «clausola floor», che garantisce che il tasso di interesse non possa scendere al di sotto di una soglia minima stabilita contrattualmente.

La decisione della Corte d’Appello e la conferma della Cassazione

Tutto è nato con una citazione presentata nel 2014 al Tribunale di Rovigo in cui si chiedeva, tra l’altro, di dichiarare la nullità dell’Interest Rate Floor contenuto in una clausola contrattuale di un mutuo fondiario dell’importo di 95mila euro, con la restituzione agli attori di interessi per almeno 14mila euro.

Sulla sentenza del tribunale, contraria ai ricorrenti, si era anche pronunciata nello stesso senso la Corte d’Appello di Venezia ed è ora giunta a conferma la Cassazione, secondo cui quella clausola non costituiva un derivato implicito. In altre parole, la sua funzione era esclusivamente quella di stabilire un livello minimo per il tasso di interesse applicato al mutuo, senza prevedere flussi finanziari tra le parti al di fuori del pagamento degli interessi pattuiti.

Secondo la sentenza, questa tipologia di clausola rientra nell’autonomia negoziale delle parti e non ha natura finanziaria. Inoltre, la Corte ha escluso che la presenza della clausola floor possa portare a un tasso usurario, in quanto gli interessi applicati rientravano nei limiti di legge e non risultava una sproporzione tra le prestazioni delle parti.

Un principio consolidato in giurisprudenza

La Cassazione ha ribadito che non si può sostenere che la previsione di un tasso minimo in un contratto di finanziamento a tasso variabile equivalga a una vendita inconsapevole da parte del cliente di un’opzione finanziaria («option floor»). Infatti, la previsione di un tasso minimo non è altro che una clausola condizionale perfettamente lecita, conforme all’art. 1353 del Codice Civile.

Trasparenza e chiarezza contrattuale

Un altro aspetto rilevante della sentenza riguarda la trasparenza della clausola. Secondo la Suprema Corte, la validità delle pattuizioni sugli interessi dipende dalla loro chiarezza e univocità. Nel caso esaminato, il contratto di mutuo specificava in modo inequivocabile il tasso di interesse applicato – il 3,25% – consentendo al mutuatario di comprendere pienamente l’impegno economico assunto.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che la clausola floor non può essere considerata vessatoria ai sensi del Codice del Consumo (D.lgs. n. 206/2005). Questo perché essa riguarda la determinazione del corrispettivo contrattuale ed è formulata in modo chiaro e comprensibile, come richiesto dall’art. 34, comma 2, del Codice.

Le implicazioni della sentenza

Questa pronuncia conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato, offrendo maggiore certezza agli istituti di credito e ai mutuatari. La decisione chiarisce che la clausola floor, se formulata in modo trasparente e comprensibile, non può essere oggetto di contestazioni basate su presunti profili di abusività o usura.

Si tratta di un tema di grande rilevanza per il settore bancario e per i consumatori, soprattutto in un contesto di tassi d’interesse fluttuanti. Con questa sentenza, la Cassazione ha dunque fornito un’ulteriore conferma della legittimità di tali clausole, purché rispettino i principi di chiarezza e trasparenza contrattuale.