La lettera di Via Nazionale è di fine luglio ma a riportarla d’attualità sono i provvedimenti che si stanno susseguendo da parte della magistratura sui crediti a suo giudizio concessi in modo inappropriato dalle banche alle PMI, e assistiti da garanzie pubbliche.
L’ultima pronuncia di cui si è avuta notizia proprio in questi giorni è la sentenza con cui il tribunale di Pescara, lo scorso 2 luglio, ha ritenuto nullo per difetto di causa il contratto di finanziamento il cui scopo era stato indicato con la dicitura “reintegro circolante” in quanto la banca non avrebbe fornito la prova di aver svolto l’analisi del merito creditizio e della capacità di rimborso del finanziato. La decisione dei magistrati abruzzesi ha ripercorso il solco di analoghe sentenze da parte del tribunale di Asti (gennaio 2024) e, prima ancora (luglio 2022) di quello di Torino. In tutti questi casi i magistrati hanno sostanzialmente incolpato i banchieri di aver erogato credito senza i necessari controlli sul merito di credito degli affidati, contando sul fatto che quei finanziamenti alle PMI erano assistiti da una garanzia pubblica da parte del Medio Credito Centrale.
La lettera della Banca d’Italia, recapitata alle cosiddette banche meno significative, quelle su cui esercita la vigilanza, ha rilevato innanzitutto che il tasso di deterioramento associato ai finanziamenti da garanzia pubblica, risultava a fine 2023 più elevato, all’incirca il 2% rispetto a quello medio dei crediti (1%). Nulla di drammatico, beninteso, ma quanto basta per far scattare un allerta da parte della vigilanza. Nel dettaglio l’analisi di Bankitalia si è concentrata sul cosiddetto “rischio residuo”, “quello cioè derivante dall’inidoneità delle garanzie a coprire i relativi rischi”. In discussione vi sono quelle fattispecie che potrebbero far venire meno l’ombrello protettivo offerto dallo stato. Quali? Ad esempio – segnala Via Nazionale – “la difformità tra i dati dichiarati dalle banche in sede di richiesta di garanzia e quelli forniti in occasione delle successive verifiche documentali o in fase di escussione”. Oppure “il mancato riscontro, entro le tempistiche stabilite dalle “Disposizioni operative” del fondi di garanzia delle PMI alle richieste di integrazione documentale che il Gestore può avanzare quando svolge verifiche a campione o riceve una domanda di escussione”. O, ancora “il mancato rispetto dei termini previsti per gli adempimenti che precedono la richiesta di escussione della garanzia, ossia la segnalazione degli eventi di rischio e l’avvio delle azioni di recupero”.
Nella lettera della Banca d’Italia non manca un esplicito riferimento alle sentenze della magistratura che hanno fatto emergere possibili “refluenze” delle garanzie pubbliche qualora la banca nell’erogare i finanziamenti non abbia “osservato pienamente ii criteri di diligenza professionale richiesta al banchiere nella valutazione delle condizioni di solvibilità delle controparti affidate”.
In questo contesto via Nazionale ha invitato le banche ad attivare tutti i loro sistemi di controllo interno per verificare se possano esistere significative situazioni di rischio residuo a loro carico comunicando entro il 15 novembre alla Banca d’Italia i risultati dei loro accertamenti. La lettera non ne fa cenno ma evidentemente anche il grande ammontare dei prestiti oggetto della garanzia pubblica, 210 miliardi erogati nel biennio 2020-2021, costituisce un ulteriore elemento di preoccupazione nell’ipotesi che quei finanziamenti considerati sicuri possano tramutarsi in una fonte di incertezza per il sistema creditizio italiano.