Crediti commerciali delle PA: non sono tutte uguali di fronte ai pagamenti

Lo stock di debito commerciale delle PA ammonta a circa 50 miliardi, di cui 8 sono nei bilanci di banche/società di factoring. Ora l'Ue sta intervenendo e punta a introdurre correttivi per dire addio ai ritardi nei pagamenti

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Alcuni recenti accadimenti hanno portato nuovamente nel dibattito il tema dei crediti commerciali della Pubblica Amministrazione e della possibilità di smobilizzarli.

Facciamo un po’ di ordine. Ab origine, i creditori della PA sono i fornitori di beni e servizi ad enti centrali, al servizio sanitario e agli enti locali (Regioni, Province, Comuni). Seconda la direttiva europea sui pagamenti, la PA dovrebbe pagare i propri fornitori entro 30 giorni dall’emissione della stessa (60 giorni per il sistema sanitario). Nel 2023, al fine di finanziare il proprio capitale circolante, i fornitori della PA hanno ceduto circa 20 miliardi di crediti a banche/società di factoring. Su una spesa di bene e servizi dello Stato di circa 400 miliardi all’anno, è in realtà una quota piuttosto piccola dei crediti ad essere ceduta, in quanto spesso i fornitori si finanziano con mezzi propri o altre forme di finanza bancaria, per svariati motivi, da alcune limitazioni tecnico/burocratiche alla cessione del credito, alla presenza di pochi operatori finanziari specializzati in questa asset class.

Lo stock ufficiale di debito commerciale delle PA ammonta a circa 50 miliardi, di cui 8 sono nei bilanci di banche/società di factoring. Tale stock è in costante riduzione, anche per la pressione e l’attenzione che l’Europa ha sempre dimostrato verso questi temi, come dimostra la recente pubblicazione della bozza di Regolamento Europeo per il contrasto dei ritardi di pagamento delle transazioni commerciali. Il Regolamento supererà la Direttiva 2011/7/EU ed è volto a introdurre meccanismi ulteriori di penalizzazione che inducano i committenti a pagare puntualmente i propri fornitori (già oggi sono previsti interessi sui ritardati pagamenti pari al tasso BCE + 8%, ma questo spesso non è un deterrente sufficiente o non è facile per il creditore far valere i propri diritti se non attraverso lunge e costose azioni giudiziarie).

Paolo Gesa, chief executive officer di OFFICINE CST Spa (Cerberus Capital Management Group)

Negli ultimi anni, l’Italia ha attuato numerosi interventi, a carattere normativo, amministrativo e strutturale, volti a favorire la riduzione dei tempi di pagamento dei debiti commerciali della PA. Per effetto di tali interventi, si è registrata una continua e sistematica riduzione dei tempi medi di ritardo, seppure con dinamiche e livelli significativamente differenziati. Infine, non si può certo escludere, nel quadro delle finanze pubbliche, che nel prossimo futuro possano innescarsi nuovamente meccanismo di carenza di liquidità (o di necessità di gestire il debito con flessibilità: i debiti commerciali, a differenza di quelli finanziari, non “contano” nel rapporto debito/PIL), che possano influenzare negativamente i tempi di pagamento delle PA.

Ora, veniamo alle tematiche di vigilanza prudenziale, e a come queste abbiano influenzato nel tempo la disponibilità di linee di credito, anche per i fornitori della PA.

Al fine di favorire lo smaltimento di NPL ed evitarne l’accumulo di nuovi, negli ultimi anni sono stati introdotti criteri armonizzati ed oggettivi volti a classificare e svalutare adeguatamente i crediti nei bilanci delle banche (procedure di fobearance, nuova definizione di default, calendar provisoning).

L’introduzione di queste regole ha avuto, come effetto collaterale, l’irrigidimento delle politiche di credito delle banche con conseguente diminuzione del credito disponibile. In misura relativa, l’impatto è stato più elevato per i fornitori della PA, in quanto il venir meno di alcune discrezionalità (in precedenza i giorni di scaduti venivano calcolati dalla data di presunto incasso – in luogo della scadenza della fattura, ed era possibile ricorrere al “pagamento curativo”, ovvero bastava sanare anche una fattura di importo esiguo per considerare la PA come “performing”), ha reso più difficoltoso lo smobilizzo di tali crediti con canali bancari.

Ciò nonostante per la Pubblica Amministrazione i paragrafi 25 e 26 delle LG EBA consentano l’applicazione di un termine di 180 giorni invece dei 90 giorni per i debitori privati, evitando la classificazione a deteriorato della maggior parte delle PA, e le guidelines EBA che consentano la sospensione del calcolo del past due nei casi di: impedimenti di legge al pagamento; flessibilità contrattuali o eventi che condizionano l’esigibilità del credito; controversie su esistenza o ammontare dell’obbligazione creditizia; eventi connessi a rischio di diluizione.

Al di là delle regole prudenziali, che comunque già tengono in considerazioni delle peculiarità del debitore pubblico, esiste un effettivo rischio di credito per le banche che acquistano questi crediti?

Su questo punto sono necessari dei distinguo, per le varie tipologie di enti pubblici. Un conto sono i Ministeri e gli altri apparati dello stato centrale, il cui profilo di rischio di credito è assimilabile a quello della Repubblica Italiana quando emette bond sul mercato. Un altro è quello del Sistema Sanitario Nazionale, ovvero la voce principale dei pagamenti commerciali dello Stato, e dipendente da flussi centrali e regionali, che oggi paga tendenzialmente puntualmente, con poche eccezioni concentrate in specifiche aree territoriali.

Un altro ancora quello degli enti locali e loro ramificazioni: in questo caso la situazione è estremamente eterogenea. In questo cluster troviamo sia enti finanziariamente efficienti e solidi, sia organismi caratterizzati da carenze organizzative e cronici deficit di cassa. Ricordo, inoltre, che gli enti locali sono sottoponibili a piani di riequilibrio o al dissesto finanziario, veri e propri default “pilotati”, che possono prevedere il blocco delle azioni esecutive, la dilazione dei pagamenti e la falcidia del diritto di credito.

Infine, ci sono i numeri. Secondo le statistiche Assifact, lo scorso dicembre 2,3 miliardi di euro di crediti verso la PA (ovvero il 28,3% del totale delle esposizioni) detenuti dagli associati sono scaduti da oltre un anno. Il dato è sostanzialmente stabile in valore assoluto dal 2018, mentre ne è un po’ aumentata l’incidenza (era il 23% nel 2018). Guardando a tutto il settore (includendo quindi anche i privati), lo scaduto oltre 90 giorni rappresenta solo il 3,06%. Tempi della giustizia, durata delle procedure di dissesto o riequilibrio, blocco alle azioni esecutive: il pagamento di alcune PA  è – alla fine – così lontano nel tempo da rivelarsi un “vero” e proprio NPL.