“Quando il mercato obbligazionario e la valuta danno segnali contrastanti sul debito nazionale, fidatevi della valuta”. È il consiglio del Wall Street Journal (WSJ) commentando le prime conseguenza della vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali Usa. I segnali sono appunto contrastanti: gli investitori hanno scaricato i Treasury, spingendo i rendimenti dei titoli decennali intorno al 4,5%. A fine settembre erano inferiori al 3,8%. Per contro, il WSJ Dollar Index è salito di circa il 2%.
La maggior parte degli analisti di Wall Street concorda sul fatto che i piani economici di Trump comporteranno un aumento dei deficit di bilancio passato già, nel corso del suo primo mandato, dal 3,1 al 4,6 per cento del Pil. Il presidente ha promesso ora un’ulteriore riduzione dell’aliquota dell’imposta aziendale dal 21% al 15% per le imprese che producono negli Stati Uniti, oltre a una serie di altri nuovi tagli fiscali. Il Comitato bipartisan responsabile per il bilancio federale stima che le politiche proposte da Trump aggiungeranno tra 1.600 e 15.600 miliardi di dollari al debito nazionale tra il 2026 e il 2035. La cifra finale potrebbe dipendere fortemente dall’eventuale conquista di entrambe le camere del Congresso da parte dei Repubblicani.
Ad ogni modo, il punto di partenza del deficit di bilancio è molto più alto rispetto al 2016: A fine giugno ammontava al 5,5% del PIL, un record al di fuori di guerre, pandemie e recessioni.
“Quello che accadrà in futuro – spiega il WSJ – sarà quindi un grande esperimento economico. Il debito nazionale è stato a malapena oggetto di discussione durante la campagna elettorale, ma la parte di esso detenuta dai cittadini era pari al 97% del PIL alla fine del 2023 ed era già destinata a superare il record del 106% – raggiunto durante la Seconda Guerra Mondiale – entro il 2027 e a raggiungere il 122% entro il 2034, secondo le stime del Congressional Budget Office. Le politiche di Trump potrebbero invece portarlo al 140 per cento.
C’è chi si preoccupa perchè teme che l’aumento del debito potrebbe condurre ad una crisi fiscale degli Usa ma, per il giornale finanziario americano, occorre guardare al dollaro.
Gli stranieri non si riverserebbero negli Stati Uniti a caccia di rendimenti elevati, come al solito, se fossero preoccupati per la sostenibilità del debito sovrano. Nei paesi in cui si manifestano queste preoccupazioni – la Turchia e l’Argentina sono esempi recenti – la valuta scende in picchiata di pari passo con il debito. Le banche centrali possono comprare il debito della propria nazione, ma il deprezzamento del tasso di cambio è l’unica forza di mercato contro la quale anche loro sono impotenti.
Eppure le valute delle nazioni ricche – anche quelle che non godono dello status di ‘valuta di riserva’ del dollaro – sembrano ancora isolate da tali rischi.
Certo, l’emissione massiccia di titoli di Stato potrebbe porre alcune sfide temporanee alle banche e agli investitori che cercano di assorbirla, come e’ già successo in passato, e portare alle consuete dispute del Congresso sull’innalzamento del tetto del debito. Inoltre, l’iniezione di spesa derivante dai deficit di Trump potrebbe innescare un po’ di inflazione aggiuntiva, inducendo a sua volta la Fed a mantenere i costi di prestito un po’ più alti. Questo è il motivo per cui le obbligazioni legate all’inflazione sono diventate relativamente più costose nell’ultimo mese, con l’aumento delle probabilità di una vittoria di Trump.
Infine, “una vera e propria discordia politica negli Stati Uniti potrebbe far vacillare la fiducia nel dollaro o nei Treasury in modi imprevisti. Finora, pero’, la prospettiva di un secondo mandato di Trump sembra rafforzare il regno di Re Dollaro, piuttosto che scuoterlo”.