Un reddito di base collegato all’introduzione della moneta elettronica e soggetto a riserva obbligatoria al 100% da parte delle banche che lo mettono a disposizione dei clienti. È la soluzione prospettata da due professori dell’Università di Tor Vergata, Leonardo Becchetti e Guido Cozzi, per far sì che l’innovazione tecnologica possa essere coniugata alla «giustizia sociale e pacificazione politica». In un articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore i due professori partono da una premessa.
La nuova accelerazione del progresso tecnologico, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, in un contesto di forte competitività delle imprese nei mercati globali, sta producendo e continuerà a produrre, nel prossimo futuro, trasformazioni profonde nella società e nell’economia. Tuttavia, automazione e progresso tecnologico concentrano l’aumento della ricchezza monetizzabile nelle mani dei proprietari delle nuove tecnologie e dei lavoratori ad alta qualifica, aumentando le diseguaglianze per competenza all’interno dei Paesi e generando un nuovo sottoproletariato di lavoratori a bassa qualifica, abbandonati ai margini del fiume del progresso e impegnati in lavori poveri o saltuari. In queste condizioni, la povertà di reddito (5,7 milioni di poveri assoluti e 3 milioni di lavoratori poveri) è, e resta, per una parte importante della popolazione una barriera per l’accesso a cibo, energia, formazione e spese sanitarie, con i ben noti fenomeni di razionamento e rinuncia alle cure.
Che fare? In questa economia profondamente mutata, diventa essenziale un reddito di base fornito a chi è nel bisogno e destinato a sostenere le spese in beni essenziali, la formazione e l’assistenza sanitaria, inclusa la non autosufficienza per sé e i propri familiari.
«Noi riteniamo che il modo nuovo e più efficace per fornire questo reddito di base sia da collegare all’introduzione della moneta digitale che le banche centrali possono direttamente accreditare sui conti correnti digitali dei beneficiari aperti presso istituti di credito con la condizione che la nuova moneta (per quanto riguarda il reddito di base) sia soggetta a riserva obbligatoria del 100%. Con questo accorgimento le banche private non potrebbero semplicemente convertire tutti gli euro digitali depositati in base monetaria normale. L’euro digitale non funzionerebbe come i tradizionali depositi bancari, perché non rientrerebbe nel regime di riserva frazionaria. Le banche non potrebbero moltiplicarlo attraverso prestiti, né potrebbero trasferirlo nel circuito della moneta bancaria. L’euro digitale sarebbe gestito con una riserva obbligatoria molto alta e verrebbe utilizzato come mezzo di pagamento diretto. Le banche, quindi, non avrebbero la possibilità di espandere la massa monetaria a partire dagli euro digitali, che rimarrebbero vincolati a essere utilizzati nella loro forma digitale senza generare debito aggiuntivo. La riserva obbligatoria sull’euro digitale, pur partendo dal 100%, potrebbe essere gradualmente ridotta nel tempo, mantenendo comunque un livello sostanziale. Questo offrirebbe alla Banca Centrale Europea (Bce) un ulteriore strumento di policy ed un importante strumento di flessibilità. In un periodo di crescita economica, la riserva potrebbe essere abbassata, permettendo una maggiore circolazione di moneta senza eccessi inflazionistici. Viceversa, in momenti di crisi, mantenere una riserva più alta garantirebbe una funzione di stabilizzazione, limitando l’espansione incontrollata del credito».