Il popolo degli NPL: potenziali clienti e non soltanto numeri

Secondo l’avvocato Andrea Urbani, executive director of NPEs di Banca Finint, serve tornare ad ascoltare i debitori ‘dietro’ gli NPL, ovvero famiglie e imprese, e tornare a fornire loro tutela

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Andrea Urbani, executive director of NPEs di Banca Finint

L’uscita in massa dei portafogli Npl dalle banche – circa 300 miliardi espulsi dal mondo del credito nel periodo 2015-2022 – ha sicuramente alleggerito i loro bilanci ma ha anche creato un problema. “Tanti debitori hanno perso contatto con chi inizialmente aveva accordato il credito dando fiducia ai loro progetti, sono diventati un numero nei business plan di molti dei servicer che ora gestiscono quei portafogli. Ma dietro quei numeri ci sono famiglie, imprese, destini personali e professionali. Debbono tornare ad essere ascoltati e tutelati come clienti perché non solo il sistema creditizio ma l’intera economia possa avvantaggiarsi di progetti imprenditoriali che talvolta sono in condizione di essere rilanciati a vantaggio di tutti”. Ne è proprio convinto Andrea Urbani, avvocato, una vita ad occuparsi di crediti “difficili” (prima nel gruppo Intesa Sanpaolo e poi in Intrum) ed ora Executive Director of NPEs di Banca Finint.

 “Guardi, il mio non è certo un punto di vista di parte. Banca Finint si è distinta in questi anni come protagonista nel nuovo mondo nato attorno agli NPL; noi cartolarizziamo crediti per conto terzi. Offriamo, per così dire, la scatola. La maggioranza delle NPV italiane hanno la sede a Conegliano (dove ha sede Banca Finint, ndr). Non si può dire che non crediamo a questo mondo, abbiamo contribuito a costruirlo”.

Tuttavia, l’industria degli NPL è più centrata al core business di gestione del debito e meno attenta a scoprire chi c’è dietro. In parte è una necessità. L’esigenza di gestire grandi volumi impone che i portafogli vengano industrializzati e si costruiscano business plan assegnando determinate percentuali e tempi di recupero. “Di conseguenza i servicer, che magari hanno acquisito quei portafogli di seconda o terza mano, non sono del tutto consapevoli di chi ci sia dietro. Magari dentro quei 300 miliardi di cui abbiamo parlato – sottolinea – c’è gente che può e vuole risorgere”.

Finint ha creato un servizio per offrire a questa clientela le giuste “lenti” per leggere il mondo dei servicer che non conoscono. La banca interviene su società che, a suo giudizio, hanno le potenzialità per risollevarsi, le accompagna in un percorso di rinascita. “Spesso riacquistiamo i crediti, possiamo fornire finanziamenti aggiuntivi, e gli strumenti offerti dal codice della crisi che consente intese molto veloci tra debitori e creditori, anche eventualmente assistite da benefici fiscali. Sono “operazioni ponte” perché il cliente possa ripresentarsi “pulito” di fronte al mondo del credito ordinario visto che noi ci occupiamo soprattutto di finanza strutturata”.

Quali società rappresentano i target di Banca Finint? “Noi operiamo prevalentemente nel Triveneto. Quanto ai settori, sta andando bene il comparto manifatturiero e quello turistico-alberghiero che sta sperimentando uno sviluppo interessantissimo”.

Ma nel radar di Banca Finint possono finire anche i debiti collocati all’interno di Gacs (i portafogli sulle cui tranche senior lo stato ha accordato la sua garanzia)? Non c’è un ostacolo normativo da superare? Le operazioni assistite da Gacs sono più difficili da gestire proprio perché in molte occasioni le aspettative di recupero, riflesse nei Business Plan (BP), sono state molto generose e difficili da rispettare. Qualcuno si sta orientando a sostituire il servicer incaricato ma prevedo che cambierà poco, quelli da rivedere sono proprio i BP con relativa conferma della garanzia statale o temo che proseguire sarà complesso.