La continuità attraverso la discontinuità: la gestione del cambiamento nel credito deteriorato

La continuità aziendale è forse il bene più prezioso di un'azienda, ma talvolta, per preservarla, c'è bisogno di discontinuità

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Nei contesti di crisi accade spessissimo che i piani industriali e finanziari riportino degli ottimi propositi di cambiamento in linea di principio, ma che rimangono nella realtà dei fatti del tutto inespressi o non correttamente implementati.
Lavorare a rendere reversibile uno stato di difficoltà e tensione finanziaria non significa perseguire il cambiamento fine a sé stesso, ma comprendere quale tipologia di discontinuità consenta più facilmente la preservazione della continuità aziendale. La discontinuità può assumere diverse connotazioni; facendo uno sforzo di sistematizzazione e di estrema sintesi, le tipologie prevalenti risultano sostanzialmente tre:

  • Discontinuità di business, laddove sia opportuno e necessario cambiare il business model con scelte anche molto radicali. Ne è un esempio la chiusura o dismissione delle business unit che non possono essere più rese competitive nel breve e medio termine con il posizionamento e le risorse attuali; se il turnaround è troppo difficile o dispendioso, è importante rifocalizzarsi su quanto può tornare a generare margini e flussi positivi e sostenibili nel tempo.
  • Discontinuità manageriale, troppo spesso non si opta per inserire sia manager nell’area di business più commerciale e tecnica che nell’area finanza, ma un vero cambio gestionale non può prescindere dall’esigenza di presidiare entrambi gli aspetti. Sono invero molto rari i casi nei quali è soltanto una la dimensione da rafforzare e nei quali il “solo” inserimento di CRO o board member indipendenti produca reali risultati di cambiamento.
  • Discontinuità di capitali, all’attualità i piani standalone che non coinvolgono cambi nella compagine societaria complementari alle altre due tipologie di continuità hanno performato molto poco. Senza nuovi partner che apportino risorse finanziarie per convogliarle verso un nuovo corso, è più difficile che in costanza di governo societario si diffonda una cultura di urgenza del cambiamento.

Per evitare che più cose cambino, ma solo apparentemente, per rimanere di fatto le stesse, occorre anche da parte del creditore fermezza e convinzione nel richiedere discontinuità ed, al tempo stesso, la disponibilità a valutare con obiettività cambiamenti significativi nella struttura del capitale delle imprese debitrici, non solo per scadenze e forme tecniche, ma sempre più frequentemente anche nella platea dei soggetti finanziatori in un mercato in cui le cessioni di crediti finanziari aumentano la propria frequenza e intermediari non precedentemente coinvolti al tavolo offrono un supporto fortemente specialistico.

Il creditore è sempre più gestore del credito nell’era della discontinuità. Ha un ruolo chiave nel monitoraggio e nella revisione dei piani e, conseguentemente, degli accordi firmati.
Sono sempre più numerose le casistiche in cui le tipologie di discontinuità possano manifestarsi anche come correttivi al piano originario e nelle quali l’accordo esistente viene modificato, integrato e finanche superato da elementi nuovi.
Ne sono esempio l’integrazione con altri business per effetto di processi di M&A o una chiusura anticipata dell’accordo per effetto di operazioni di rifinanziamento da parte di operatori come challenger banks, fondi di private credit o specialized lenders.

Il creditore può contribuire a essere un catalizzatore del cambiamento e favorire il perseguimento degli obiettivi, facendosi parte attiva rispetto al passato in cui si attendeva pazientemente di essere riconvocati al tavolo.
Per riuscire in questa nuova missione, ha anche l’onere e l’onore di valutare i professionisti che a vario titolo intervengono in un processo di ristrutturazione e comprendere se gli stessi risultano credibili nell’essere portatori di quelle discontinuità senza le quali nessuna continuità risulta sostenibile nel tempo e nello spazio ed è facile incorrere nella profezia autoavverante del “più le cose cambiano, più restano le stesse”.