Il dibattito su quali costi debbano essere restituiti al cliente in caso di estinzione anticipata di un finanziamento al consumo è stato al centro di interventi giurisprudenziali importanti sia in Europa (Corte di Giustizia) sia in Italia (Corte di cassazione a Sezioni unite e Arbitro Bancario e Finanziario – ABF) e di prese d’atto da parte del Legislatore. Quando estingue un finanziamento prima del termine contrattuale, il cliente ha diritto di chiedere al finanziatore la restituzione di parte dei costi, ma è proprio sulla specificazione di quali costi debbano essere restituiti e delle modalità di restituzione che si è formato dibattito e contenzioso.
Quali costi restituire?
Il credito al consumo è un finanziamento per acquistare beni e servizi, che può avvenire sotto forma di prestito personale, cessione del quinto dello stipendio o della pensione, ecc… Il costo di tale finanziamento è rappresentato dagli interessi, ma anche da altre commissioni e spese legate all’apertura della pratica e alla gestione del rapporto, nella prassi riconducibili a due diverse categorie:
- costi up-front (costi “anticipati”): sono i costi normalmente sostenuti all’inizio del contratto e finalizzati alla concessione del prestito (ad esempio, le spese d’istruttoria o le commissioni);
- costi recurring (o ricorrenti): sono i costi che si ripetono nel corso del rapporto con frequenza periodica (ad esempio, i premi assicurativi, le commissioni mensili o annuali).
In caso d’estinzione anticipata del contratto, l’art. 125-sexies, comma 1, del Testo unico bancario – Tub (introdotto dal 19.09.2010) disciplina il diritto per il consumatore di ottenere una riduzione del costo totale del credito in termini di interessi e commissioni.
Nello specifico, nei primi anni d’applicazione di tale norma l’interpretazione accolta dalla giurisprudenza di merito e dall’ABF aveva limitato il diritto al rimborso ai soli costi recurring, a eccezione dei casi in cui le conseguenze del recesso anticipato non fossero pattuite in modo chiaro e trasparente.
In tale quadro interpretativo è intervenuta la decisione 11.09.2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia Europea (c.d. sentenza Lexitor), che ha interpretato l’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE, nel senso “che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. La sentenza afferma, quindi, il diritto del consumatore alla riduzione di tutti i costi del credito, siano essi costi up-front o recurring.
A seguito di tale pronuncia, il Legislatore – in sede di conversione del decreto legge n. 73 del 2021 nella legge n. 106 del 2021 – ha introdotto l’art. 11-octies, il cui comma 1 modifica l’art. 125 sexies Tub che viene riformulato inserendo il diritto, del consumatore, “alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte”, prevedendo, quindi, il diritto alla riduzione non solo dei costi recurring, ma anche di quelli up-front.
I metodi di restituzione dei costi: ne esiste uno sempre più vantaggioso?
La giurisprudenza (di merito e di legittimità) più recente ha condiviso tali conclusioni, distinguendosi però nelle modalità di calcolo adottate per quantificare l’importo delle riduzioni. In particolare, si possono individuare due diversi metodi:
- il criterio “pro-rata temporis” (solitamente applicato ai costi recurring), prevede che i costi sostenuti dal finanziatore siano ripartiti in proporzione al periodo di tempo effettivamente utilizzato rispetto alla durata totale del finanziamento;
- il criterio della curva degli interessi o del costo ammortizzato, il cui orientamento è stato condiviso dall’ABF a partire dalla decisione 26525/2019, stabilisce una proporzione tra gli interessi “dovuti per la vita residua del contratto”, cioè non ancora maturati secondo il piano di ammortamento, e l’importo totale degli interessi, e applica tale proporzione agli oneri che devono essere rimborsati.
Allo scopo di meglio comprendere la differenza tra i due criteri, si è provveduto alla loro applicazione in un caso pratico (vedasi tabella 1) per evidenziare l’andamento delle percentuali di rimborso nel corso del rapporto al variare dell’epoca di estinzione.
Al momento della stipula, il cliente corrisponde un totale di costi del credito pari a €2.594,76. Il finanziamento viene estinto alla rata n.16 quando ne mancano ancora 68.
Applicando il criterio pro-rata, ovvero rapportando il numero di rate residue al numero totale di rate, il cliente avrebbe diritto a una quota di rimborso dei costi sostenuti pari all’80,95%, pari a €2.100,52. Applicando il criterio della curva degli interessi, ovvero effettuando il rapporto tra la somma delle quote interesse delle rate residue e il totale delle quote interesse, il cliente avrebbe diritto a una quota di rimborso dei costi pari al 67,20%, pari a €1.743,78.
Il metodo della curva degli interessi risulta, dunque, meno conveniente per il consumatore rispetto a quella pro-rata, essendo inferiore il rimborso a cui egli avrebbe diritto. Tale assunzione è valida non solo nel caso specifico (estinzione alla rata n.16), ma per ogni epoca k (vedasi grafico 1).
La differenza nell’andamento delle percentuali generate dal metodo della curva degli interessi rispetto a quella pro-rata è dovuta al fatto che un piano di ammortamento prevede quote d’interessi decrescenti e, dunque, al trascorrere delle scadenze, il totale degli interessi da restituire diminuisce con più rapidità rispetto alla linearità del tempo.
Tale sviluppo è, quindi, indipendente dal metodo di ammortamento utilizzato; volendo considerare, ad esempio, il piano a quota capitale costante (c.d. all’italiana), calcolando la percentuale di rimborso si ottiene un valore di nuovo inferiore a quello previsto dal criterio pro-rata e inferiore, seppur di poco, anche a quello della curva degli interessi del piano alla francese.
L’unico piano per cui l’andamento della percentuale generata dalla curva degli interessi coincide con quella del criterio pro-rata è quello a rimborso unico ovvero quando il rimborso del capitale prestato avviene in un’unica soluzione all’epoca finale. In tal caso, le quote capitale sono tutte pari a zero, eccetto l’ultima che sarà pari al capitale inizialmente prestato. Pertanto, gli interessi sono calcolati sempre sullo stesso importo e, quindi, le quote interesse sono uguali fra loro.
In conclusione, si conferma la maggior convenienza, per il consumatore, del criterio pro-rata oltre ad essere questo di estrema semplicità, non richiedendo particolari calcoli matematici.
D’altro canto, il criterio della curva degli interessi è più vantaggioso per l’istituto finanziario, oltre ad apparire coerente con le clausole contrattuali laddove la Banca, con l’estinzione del finanziamento, rinuncia agli interessi previsti nelle rate residue e quindi, nella stessa misura, restituirebbe le spese. Tuttavia, l’applicazione di tale criterio richiede la conoscenza del piano di ammortamento e potrebbe, pertanto, generare un problema in termini di chiarezza e trasparenza contrattuale.
A ogni modo, l’attuale normativa prevede che in contratto sia riportata anche la modalità di rimborso dei costi in caso di estinzione. Sul punto, l’art. 125 sexies Tub, comma 2 afferma: “I contratti di credito indicano in modo chiaro i criteri per la riduzione proporzionale degli interessi e degli altri costi, indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato. Ove non sia diversamente indicato, si applica il criterio del costo ammortizzato”.