Confrontando due fotografie del mondo degli NPL (1) in Italia, scattate oggi e dieci anni fa, si potrebbe dire che nulla è cambiato a livello dei principali indicatori: lo stock complessivo lordo di crediti impagati di origine bancaria è abbastanza simile (360 miliardi vs. 305), come simili sono i tempi medi di durata delle procedure giudiziali di recupero del credito (circa 6,5 anni). Nulla è quindi successo e, per dirla con Tomasi di Lampedusa, tutto è cambiato perché nulla cambiasse? Non proprio, ma vediamo con attenzione da dove si è partiti e dove siamo arrivati.
Come noto, il sistema bancario dopo il picco di NPL raggiunto nel 2015 (361 miliardi lordi) è ormai giunto ad avere poco meno di 60 miliardi di crediti deteriorati lordi, passando da oltre il doppio della media europea a numeri assolutamente in linea con quelli dell’area Euro. Il loro impatto netto sui bilanci del sistema bancario è ormai quasi irrilevante, essendo passati dai 196 miliardi del 2015 ai circa 30 degli ultimi dati disponibili (rapporto ABI di luglio 2024).
Il maggior focus operativo delle banche sugli NPL in ogni loro fase, le molte cessioni, concluse anche grazie alle GACS, alcuni interventi “di sistema” (come AMCO e il fondo Atlante) hanno contribuito a risolvere il problema nei bilanci delle banche.
Tutto sembrerebbe quindi ormai risolto: ma la realtà è in parte diversa.
Se guardiamo, infatti, al complesso degli NPL esistenti sul mercato italiano, vediamo che i crediti problematici, usciti dai bilanci bancari, sono ora in quelli degli investitori, che hanno comprato i crediti dalle banche.
Gli NPL complessivi, infatti, sono pari a circa 305 miliardi lordi, per circa 60 miliardi nei bilanci delle banche e per la differenza (circa 245 miliardi) in mano agli investitori.
Considerando i ridotti ingressi di nuovi NPL in questi ultimi anni (anche grazie alle varie moratorie, che hanno riguardato crediti per oltre 300 miliardi di euro e nuovi finanziamenti per oltre 100 miliardi concessi in epoca Covid con la garanzia MCC) il problema principale del mercato NPL è oggi essenzialmente legato allo smaltimento dello stock più che ai nuovi flussi.
La “vasca” degli NPL, infatti, si riempie per due dinamiche diverse, i flussi in entrata e quelli in uscita: sistemato il rubinetto dei nuovi ingressi ci si deve preoccupare dello “scarico”, aumentando in modo importante il deflusso degli NPL.
Il principale problema da affrontare oggi, pertanto, è legato agli stock accumulati nel c.d. mercato secondario, alla necessità, cioè, che i crediti usciti dai bilanci delle banche ed attualmente nei portafogli di molti investitori, siano finalmente recuperati.
Le tempistiche reali dei Tribunali, infatti, sono di poco migliorate, rimanendo sempre poco sotto la soglia dei sette anni, che ha per decenni caratterizzato il sistema giudiziario italiano, sia nelle esecuzioni individuali sia in quelle concorsuali.
Un mercato molto maturo, come quello italiano, ha negli ultimi dieci anni percorso la via degli accordi stragiudiziali in modo importante e significativo, organizzandosi e dedicando strutture e risorse per favorire al massimo accordi transattivi e ristrutturazioni, essendo questa soluzione sicuramente preferibile rispetto alla strada giudiziale.
L’altra strada, quella giudiziale, è sempre stata perseguita come un percorso necessario e inevitabile quando la via dell’accordo non era possibile.
Il rapporto tra queste due modalità di recupero, la giudiziale e la stragiudiziale, si è fortemente modificato negli ultimi anni: dieci anni fa i recuperi provenienti dall’attività stragiudiziale erano largamente superiori all’attività giudiziale (60% vs. 40%) mentre oggi il rapporto si è invertito e i recuperi giudiziali sono in talune situazioni superiori al 70% degli incassi totali.
Quali le possibili soluzioni per ridurre l’utilizzo dello strumento giudiziale? In primo luogo, si deve distinguere tra crediti problematici verso privati e quelli verso aziende. Per il mondo dei consumatori occorre aver presente che la maggior parte del valore risiede nei mutui residenziali e che, spesso, il debitore è in arretrato con i pagamenti, perché il suo reddito non è più in grado di far fronte alle rate del mutuo.
Partendo dalla considerazione di palese evidenza che, nella gran parte dei casi, l’immobile ipotecato interessa solo al debitore, la soluzione migliore è quella di dare più tempo al medesimo debitore per ripagare quanto dovuto. La rinegoziazione, pertanto, è spesso l’unico modo per consentirgli di non perdere la propria casa, offrendo al creditore la possibilità di vedere ripagato, spesso interamente, il proprio credito. Per consentire tale allungamento dei tempi di recupero occorre favorire la nascita di investitori di “lungo periodo”, sia privati sia di natura pubblica, che possano farsi carico di tale attività, acquistando a valori congrui tale tipologia di crediti sul mercato secondario. Questo, ad esempio, potrebbe essere il nuovo ruolo che lo Stato potrebbe attribuire ad AMCO.
Per quello che riguarda il mondo “corporate”, in ogni stato della posizione (UTP/sofferenze) la strada per trovare una soluzione non giudiziale è quella di verificare se l’azienda, indipendentemente dall’entità del suo debito, sia ancora in grado di produrre un margine operativo positivo da destinare al rimborso e, conseguentemente, capire quale sia il debito sostenibile.
In queste situazioni la vera differenza viene fatta dalla struttura del debito bancario; le crisi definite in modo virtuoso e tempestivo, sono spesso quelle in cui la debitoria è concentrata in uno o due creditori bancari, che hanno modo di ristrutturare il debito, dando alle aziende il tempo necessario per superare la crisi.
Nei casi in cui il debito è frazionato tra molte banche, invece, spesso e pur in presenza di aziende ancora vitali, nessun creditore ha convenienza a farsi parte attiva del ceto creditorio, e non di rado prendono la strada giudiziale situazioni che potrebbero risolversi in modo alternativo. L’esperienza di questi ultimi anni in BCA Banca, ha dimostrato come la possibilità che un terzo si renda cessionario a valori congrui della complessiva debitoria è la strada, forse la migliore, per garantire ai precedenti creditori un valore di uscita sicuramente più alto di quello che avrebbero, lasciando “stancamente” che si concludano le procedure giudiziali.
La tipica situazione a cui ci si trova di fronte, è spesso quella in cui un numero significativo di banche creditrici ha percorso invano tutte le strade per una soluzione concordata della crisi. Spesso si sono tentati inutilmente accordi di ristrutturazione, concordati preventivi naufragati nel nulla, casi in cui il debitore ha dato procura a vendere i beni ipotecati alle banche e queste, pur avendone la possibilità, non sono riuscite a liquidarli.
Il motivo, ovviamente, è da ricercare nella circostanza che nel nostro sistema economico, costituito in larga misura da piccole e medie aziende, ci sono pochi soggetti interessati a rilevare i beni in garanzia o la stessa l’azienda.
In tali casi è necessario l’intervento di un finanziatore terzo, possibilmente di natura bancaria per poter far fronte anche a tempi di rientro medio/lunghi, che si renda cessionario di tutti crediti bancari, ad un prezzo che ovviamente tenga conto del valore del tempo necessario al debitore per ripagare in tutto o in parte il proprio debito, divenendo quindi l’unico interlocutore del debitore.
È infatti evidente che nessuno dei creditori è normalmente disponibile a rendersi acquirente dei crediti altrui, se non altro perché aumenterebbe la propria posizione di rischio, contravvenendo a uno dei dogmi del “buon banchiere”, che è quello di non mettere “soldi buoni sui soldi cattivi”.
Il ruolo del terzo (quello che ad esempio svolge BCA Banca) è, pertanto, quello di aiutare i creditori bancari a chiudere una posizione che, senza la cessione, si trascinerebbe per anni in esecuzioni individuali o concorsuali di lunga durata e con percentuali di recupero estremamente basse.
Quanto sopra nel caso in cui siano possibili soluzioni “going concern”.
Nel caso in cui, invece, la situazione aziendale sia tale da non consentire il proseguimento dell’attività e si debba procedere quindi alla liquidazione degli asset, il ruolo del terzo finanziatore cambia, consentendo al debitore di cedere sul libero mercato i propri beni a valori di gran lunga superiori a quelli che si avrebbero in sede giudiziale, riuscendo non raramente anche a non alienare in modo integrale il proprio patrimonio, avendo quindi un concreto ed effettivo interesse alla massimizzazione dei ricavi dalle vendite.
Spesso è lo stesso nuovo creditore che, utilizzando le proprie conoscenze del mercato, riesce a trovare tra i suoi clienti, d’intesa con il debitore, dei soggetti interessati a rilevare i beni. Tali soggetti, magari passando per uno degli strumenti di composizione negoziata della crisi previsti dal codice della crisi quando esistano altri creditori non bancari, riesce ad acquistare i beni senza rischi ed in tempi compatibili con l’investimento e la continuazione/ripresa dell’attività.
La soluzione sopra descritta rappresenta, ovviamente, un caso tipico di un intervento, ma le modalità concrete con cui possono risolversi situazioni analoghe sono molto diversificate, dovendosi necessariamente adattarsi alle più varie situazioni, al fine di trovare la soluzione più efficiente.
In conclusione, pertanto, direi che il “tempo” è il fattore che deve diventare la guida nella gestione degli NPL, ma non considerandolo un elemento negativo e penalizzante (come è stato fino ad oggi), ma come l’elemento che, unito alle positive previsioni di ripresa economica (le ultime stime macroeconomiche ci confortano), consentirà ad aziende e consumatori di rientrare dei propri debiti, liberando finalmente lo “scarico” della vasca degli NPL e consentendo quindi una vera, strutturale e sostenibile diminuzione degli NPL in Italia.
(1) Spesso i termini NPL/NPE/UTP sono usati in modo improprio. In base alle Linee guida per le banche sui crediti deteriorati della BCE, queste sono le corrette definizioni: NPL e NPE sono considerati sinonimi e identificano tutti i crediti deteriorati, vale a dire i crediti scaduti da oltre 90 giorni, nel cui ambito rientrano: gli UTP (unlikely to pay) rappresentano i crediti verso soggetti in momentanea difficoltà; i Bad Loans sono crediti, sostanzialmente simili alle sofferenze delle regole Centrale Rischi, verso soggetti che versano in sta¬to di insolvenza ancorché non dichiarata; infine i Forborne, crediti per i quali si sono modificate alcune delle condizioni originarie del finanzia¬mento, al fine di favorire il recupero del credito