L’Europa deve dotarsi di un meccanismo di «spesa comune per finanziare gli investimenti» anche tramite un titolo europeo «privo di rischio». Da Barcellona, dove partecipa al Forum Italia-Spagna, il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha rilanciato la proposta di eurobond sottolineando che «non implica la creazione di una Fiscal Union né richiede un ministro delle finanze europeo o meccanismi di trasferimenti sistematici tra Paesi». Panetta – riferisce Il Sole 24 Ore – chiarisce che si potrebbe finanziare «il 25% di un piano di investimenti da 800 miliardi all’anno per sei anni» mantenendo il debito comune al 10% del Pil. «Questo aumento di passività a livello centrale – ha aggiunto il governatore di Bankitalia – sarebbe contenuto e finalizzato esclusivamente ad accrescere la produttività dell’economia europea; esso limiterebbe la necessità di spese per investimenti da parte degli Stati membri, che potrebbero così ridurre più rapidamente il proprio debito pubblico». Inoltre, «la creazione di un mercato secondario liquido permetterebbe di ridurre i rendimenti dei titoli europei, attualmente penalizzati dalla bassa liquidità degli scambi e dall’assenza di strumenti derivati adeguati per gestire i rischi di mercato. Secondo nostre stime, il superamento di queste criticità potrebbe abbassare i tassi di interesse sui titoli europei di oltre 20 punti base».
Un altro tema centrale riguarda l’Unione bancaria, processo non completato, che quindi limita le banche e le costringe a operare «prevalentemente in mercati nazionali». In questo quadro la vigilanza unica Bce «non è bastata a creare un mercato bancario europeo pienamente integrato. La piena operatività delle banche in tutta l’area dell’euro è indispensabile per un mercato dei capitali integrato» ha aggiunto, rilevando come l’approccio «sequenziale e dei piccoli passi» seguito fino a ora «non ha funzionato».
All’origine della bassa produttività dell’economia europea – ha detto ancora Panetta – c’è «una insufficiente capacità di innovare, a sua volta dovuta alla scarsa dinamicità del tessuto produttivo. Negli ultimi dieci anni gli investimenti in ricerca e sviluppo effettuati dalle aziende europee sono stati circa il 60% di quelli delle imprese statunitensi, con un divario crescente nel tempo». A questo si aggiunge la sfavorevole composizione settoriale dell’attività di ricerca, «che in Europa si concentra per circa il 30% in settori maturi. Negli ultimi vent’anni le imprese in vetta alla classifica degli investimenti in ricerca e sviluppo appartengono per lo più al settore automobilistico, che oggi stenta a tenere il passo con l’innovazione più radicale dei concorrenti extra-europei».