Paolo Savona: “L’intelligenza artificiale in aiuto della politica monetaria”

Il presidente della Consob intervistato a margine del convegno, organizzato nella Biblioteca Capitolare di Verona dal Centro Studi Alma Iura. Un'occasione per interrogarsi sulla possibilità d’incorporare le nuove tecnologie dell’AI e del Machine Learning nei modelli econometrici, al fine di potenziare la loro capacità predittiva

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Paolo Savona, presidente Consob, assieme a Marco Rossi, presidente comitato scientifico Alma Iura, al tavolo relatori del Convegno Alma Iura dell'8 marzo in Biblioteca Capitolare a Verona

Qual è il giusto timing della politica monetaria? Se i banchieri centrali non colgono per tempo i segnali premonitori dell’inflazione e mantengono una politica, come si dice in gergo, accomodante, quel fuoco può divampare. Ma se la stretta monetaria, come accade per gli antibiotici, viene somministrata in dosi eccessive o oltremisura nel tempo, il corpo di una società, la sua economia, rischia di cadere in depressione.

Soprattutto in periodi di instabilità ed incertezza come quelli attuali non è semplice capire quando è arrivato il momento di cambiare direzione. Paolo Savona, ex-banchiere centrale e che proprio oggi festeggia i suoi primi cinque anni da presidente della Consob – fu nominato l’8 marzo del 2019 – ha un suggerimento. Quello di integrare i modelli econometrici di cui si servono le autorità monetarie con le nuove tecniche di machine learning e di data science per incrementare la loro capacità predittiva. In un convegno di Alma Iura svoltosi a Verona ha appena presentato i risultati delle sue ricerche che ha discusso con un altro ex banchiere centrale, Rainer Stefano Masera, e con gli economisti Donato Masciandaro e Monika Poettinger, moderati da Marco Rossi, presidente del Comitato scientifico di Alma Iura.

Dove nascono i problemi? Perché è così difficile interpretare il cammino dell’inflazione? Una seria risposta al quesito delle cause della crescita e ora della discesa dell’inflazione richiede più attente ricerche, che gli studiosi avanzeranno nel tempo. Allo stato attuale conta il giudizio degli stessi Governatori delle banche centrali: le loro scelte hanno patito della povertà predittiva degli strumenti econometrici usati e attribuiscono le cause agli shock esogeni, come l’aumento del prezzo delle fonti di energia e l’invasione dell’Ucraina.

Quali sono i limiti dei modelli econometrici correnti: sono costruiti con poche variabili (ma quello attuale della Banca d’Italia ha 750 equazioni e mille variabili)? Tendono a replicare il passato e quindi non forniscono segnali utili quando la realtà cambia rapidamente?

Non è la numerosità delle variabili usate, ma la logica sottostante, quella che le relazioni tra variabili accertate nel passato si ripetano in futuro su basi probabilistiche. Il problema da risolvere è come prevedere l’arrivo degli shock esogeni.

In che modo l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, incorporata nei modelli econometrici, potrebbe aumentarne la capacità predittiva?

In molti stanno studiando modelli alternativi a quelli econometrici. Le soluzioni possono essere diverse. Sorretto da una consultazione internazionale e dalle conoscenze di studiosi della materia, la mia soluzione è che i modelli econometrici vadano perfezionati, ma non abbandonati, e un saggio uso del machine learning e delle tecniche di data science può colmare in tutto o in parte il gap predittivo. Con Simeone, Teza e Italiano abbiamo definito questa tecnica “acceleratore econometrico”. Consiste nell’interpretare, con appropriati algoritmi, talune variabili rilevanti in grado di cogliere le anticipazioni di un cigno nero, ad esempio, alcune anomalie nell’andamento degli scambi o l’andamento nelle vendite allo scoperto perché nel mondo ci sono sempre gruppi di potere che sanno in anticipo ciò che avverrà.

È un modo per prevedere il futuro?

Naturalmente no, ma ti avverte che sta arrivano qualcosa. C’è un dna nelle variabili che va compreso, qualcosa che deve essere interpretato.

Nel mondo assicurativo, dove l’Ai inizia ad essere usata per il pricing dei nuovi rischi, gli attuari si sono imbattuti in un problema. L’analisi di un gran numero di dati provenienti dalle fonti più diverse – è una delle caratteristiche dell’intelligenza artificiale – fornisce agli assicuratori una maggiore capacità predittiva ma gli algoritmi non dicono loro esattamente il perché. Nel caso dei modelli econometrici non c’è un problema analogo?

È proprio così. La differenza rispetto a queste ricerche è l’uso degli strumenti e tecniche indicate nella precedente risposta, ossia di rafforzare l’intelligenza umana con quella artificiale, che ho appunto proposto di chiamare IUR (Intelligenza Umana Rafforzata) non IA, per le reazioni che il termine ha suscitato. È sempre l’uomo, il “legno storto dell’umanità” secondo Kant, che conduce il gioco e non la tecnica usata.

Le nuove tecnologie digitali non si esauriscono con l’intelligenza artificiale. Le sue riflessioni negli anni recenti hanno spesso riguardato il mondo delle criptovalute e dei cryptoasset.

Il problema non sono i nuovi strumenti “virtuali”, ossia “scritture su computer”, ma le tecniche di contabilità criptate decentrate, che si autocertificano senza dovere fare ricorso a un contabile esterno (per l’attuale moneta legale, lo Stato e le banche centrali, per gli strumenti finanziari, gli intermediari). La messa a punto di queste soluzioni matematiche applicate su computer sempre più dotati di poteri di calcolo ha consentito nel 2008 la nascita della prima cryptocurrency, i Bitcoin, il cui valore è pattizio, ma non legale (caratteristica che le recenti decisioni pubbliche stanno via via rendendo tale). La tecnica contabile usata per i Bitcoin è la blockchain (concatenazione a blocchi) che ha caratteristiche di impenetrabilità rispetto a quella diffusasi dopo, la DLT (Distributed Ledger Technology). Il problema è questo, non gli strumenti che si basano su queste contabilità; alle crypto, se legittimate, va applicato il principio della estendibilità della legislazione esistente – tesi sostenuta del primus inter pares Chairman della SEC, il prof. Gensler – accompagnate da regole di trasparenza dell’attività, almeno per le autorità. I cryptoasset già seguono la regola indicata, perché i titoli sono già quelli noti e regolati, e le tecniche contabili decentrate (detta tokenizzazione) sono necessariamente conoscibili. Il vero problema nuovo da regolare sono le CASP (Crypto-Asset Service Provider).

La diffusione delle criptovalute non potrebbe rendere meno efficaci gli strumenti della politica monetaria che dopotutto sono pensati per le valute che hanno corso legale?

Non vedo questo pericolo tanto è distante, per quantità, l’universo delle monete legali rispetto a quello delle cryptocurrency. Il vero problema sta piuttosto nell’ibridazione. In diversi mercati le criptovalute sono utilizzate come collateral o unità di conto nelle operazioni finanziarie. I regolatori dovrebbero prestare maggiore attenzione ad una simile contaminazione tra i due mondi che può avere conseguenze assai serie.

È stato recentemente approvato il regolamento europeo MiCA (n.2023/114) che regolamenta i crypto asset e che entrerà in vigore entro quest’anno. La Consob svolgerà compiti di vigilanza. Come giudica la nuova normativa e quali sfide si pongono ad un supervisore?

Il MiCA nasce e si sviluppa in un habitat ancora non chiaro sulla natura monetaria e finanziaria delle cryptocurrency. Esso segue l’impostazione che tutto ciò che è moneta resta di competenza della BCE, ciò che è finanza delle autorità di vigilanza finanziaria. Personalmente non mi è chiaro nel contesto il ruolo degli stable coin, tanto meno della e-money, che richiederebbe una decisione congiunta tra BCE ed ESMA. Per ogni altra forma di cryptoasset dovrebbe valere ciò che ho detto in precedenza.

Paolo Savona è presidente della CONSOB - Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, nominato con DPR dell'8 marzo 2019 e in carica per sette anni. Inoltre è professore emerito di Politica economica. Dal 1° giugno 2018 all'8 marzo 2019 è stato ministro per gli Affari Europei nel 1° governo Conte. Dopo la laurea cum laude in Economia e Commercio nel 1961, inizia la sua carriera al Servizio Studi della Banca d'Italia, dove raggiunge il grado di direttore. Si specializza in economia monetaria ed econometria al Massachusetts Institute of Technology (MIT). I temi di ricerca che predilige sono il sistema monetario internazionale, i contratti derivati, i divari di produttività tra Centro-Nord e Mezzogiorno d'Italia.

Nel 1976 vince il concorso a cattedra e lascia la Banca d'Italia per insegnare Politica economica prima all'Università di Cagliari e subito dopo all'Università Pro Deo, oggi LUISS Guido Carli. Ha ricoperto il ruolo di direttore generale di Confindustria dal 1976 fino al 1980. Ha anche insegnato nelle Università di Perugia, di Roma Tor Vergata, alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e all'Università degli Studi Guglielmo Marconi, dove ha fondato nel 2010 il dottorato in Geopolitica economica.

 Ha ricoperto diversi altri incarichi pubblici, tra cui, solo per citarne alcuni: è stato ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato nel governo Ciampi (1993 - 1994); è stato nel biennio 2005-2006 a capo del Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri; è stato membro del Comitato OCSE per la standardizzazione delle statistiche finanziarie. È Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana, Jemolo Fellow al Nuffield College dell'Oxford University e Chinese Eisenhower Fellow di Taiwan.