Il private debt sarà sempre più un antidoto alla rarefazione del credito per le PMI Italiane. Dopo il salasso degli NPL avvenuto negli ultimi anni – oltre 300 miliardi espulsi dai bilanci degli istituti di credito italiani tra il 2015 ed il 2022 – le banche sono divenute più circospette nell’erogare prestiti all’economia reale, nella paura che potessero tramutarsi in nuovi crediti distressed.
Dall’indagine della Bce sul credito bancario nell’area dell’euro, relativa al luglio 2024, risulta in generale “un ulteriore lieve irrigidimento dei criteri per la concessione dei prestiti alle imprese” e che a maggio di quest’anno l’Italia, tra i grandi paesi dell’area della moneta unica, risultava essere quello con la maggiore contrazione nei prestiti alle imprese non finanziarie (più del 3% su base annua, vedi tabella). In una congiuntura economica stagnante la rarefazione dei prestiti non è ancora percepita interamente dal mondo produttivo ma inizierà a mordere quando il barometro dell’economia invertirà il suo orientamento.
Le imprese, che storicamente in Italia hanno fatto finora largamente affidamento al rubinetto bancario, ed ancora continuano a farlo, dovranno in futuro rivolgersi altrove per finanziare la loro crescita.
Dove?
“La strada da percorrere sarà sempre più quella del private debt dove le PMI più meritevoli troveranno il sostegno di cui hanno bisogno contribuendo allo stesso tempo all’evoluzione dei mercati finanziari in Italia”. Ad affermarlo è Massimo Figna, fondatore e Ceo di Tenax Capital, boutique di asset management tra le più attive nel mondo del private debt europeo, con attivi in gestione per 2,9 miliardi.
Il private debt, cioè i finanziamenti accordati alle imprese da investitori istituzionali non bancari, ammontava nel 2022 in Europa a circa 293 miliardi, poco meno dell’1% del Pil continentale. Le differenze tra i diversi paesi sono significative. In Gran Bretagna il private debt pesa per circa il 5,7% del prodotto interno (0,3% in Italia) e lo stesso paese detiene circa il 60% del mercato complessivo dei debiti privati in Europa (il 2,1% in Italia).
Come si spiegano simili differenze?
“In gran parte hanno avuto origine nel 2008 con la crisi della finanza globale – spiega Figna – quando le banche commerciali hanno ridotto significativamente la quota dei finanziamenti all’economia reale. Il loro posto è stato preso da boutique di Asset Management spesso nate su iniziativa di ex dirigenti bancari. I nuovi attori hanno costituito i primi fondi di private debt con il compito di finanziare le imprese”.
Nel funding dei nuovi fondi particolarmente attive sono state le assicurazioni. Queste hanno collocato le quote dei fondi di private debt nei portafogli che servono a garantire le prestazioni dei fondi pensione britannici. Una quota di investimenti illiquidi – che offrono in contropartita rendimenti maggiori di quelli immediatamente liquidabili – ben si prestano a sostenere liability a lunga scadenza come sono quelle previdenziali.
“Se osserviamo l’intera catena di intermediari coinvolti nel private debt possiamo dire che gli assicuratori hanno sostituito in buona parte le banche nel sostegno all’economia reale britannica”.
In questo passaggio le compagnie si sono avvantaggiate anche di più favorevoli requisiti prudenziali. Poiché quegli asset finivano in portafogli chiusi – i capitali dei fondi pensione vengono rilasciati solo al momento di erogare le rendite pensionistiche – gli assicuratori del Regno Unito hanno fatto largo uso del meccanismo di “matching adjustment”, previsto dalla normativa di Solvency II, con ratios patrimoniali agevolati.
In Italia è immaginabile un’evoluzione simile?
“Il cammino è già iniziato ed un esempio sono proprio i fondi di private debt costituiti nel tempo da Tenax Capital”. L’ultimo della famiglia, il Tenax Sustainable Credit Fund, nato nel 2023, è frutto di una partnership con IntesaSanpaolo. È un esempio del modello bancario “originate to share” che si è affermato in Gran Bretagna dopo la crisi della finanza globale.
La banca propone al fondo una lista di aziende candidate ai finanziamenti, scegliendole tra i propri clienti. Il fondo, partecipato anche da Intesa per ridurre il rischio di conflitti di interesse, decide in autonomia quali finanziare. L’istituto di Carlo Messina non perde contatto con la propria clientela ma allo stesso tempo non è gravato dai ratios patrimoniali associati ai finanziamenti diretti. La garanzia dell’European Investment Fund (EIF) ottenuta sui finanziamenti alle imprese e la partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti, entrata nel fondo con una quota di 40 milioni, qualificano il Tenax Sustainable Credit Fund come un’iniziativa di sistema. Dall’avvio del progetto il fondo ha già raccolto 200 dei 300 milioni del suo target e ha erogato 147 milioni a 18 PMI italiane dei più svariati segmenti merceologici.
Anche nella via italiana al private equity le assicurazioni potranno essere il volano della trasformazione?
Figna se lo augura soprattutto – spiega – se verranno chiarite alcune incertezze regolamentari. Se gli investimenti godono di una garanzia sul credito – ad esempio quelle dell’EIF – allora i ratios patrimoniali delle compagnie risultano più favorevoli. Ma, secondo alcune interpretazioni prevalenti ad esempio in Italia, è una facility che vale soltanto se la garanzia è totale e non parziale, a differenza di quanto prevede ad esempio la disciplina prudenziale nel credito per i finanziamenti bancari. Fatta già propria, in alcune legislazioni, anche dai regulator assicurativi. “È un’asimmetria che andrebbe rapidamente rimossa anche in Italia – sottolinea ancora Figna – per consentire ai nuovi attori di private debt di occupare gli spazi lasciati vuoti dalle banche nel sostenere la crescita delle imprese”.