Aderendo alla rottamazione quinquies che il governo si propone di varare, un contribuente potrebbe godere di uno sconto di 7 rate (su un massimo di 120 mensili) alla fine del periodo di rateizzazione.
È la circostanza “anomala” segnalata dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Vincenzo Carbone, nell’audizione tenuta di fronte alla commissione Finanze del Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul magazzino dei crediti dello Stato. Poiché il testo del disegno di legge n.1375 prevede una tolleranza massima complessiva di 8 rate non pagate in tutto il periodo di rateizzazione, in quel caso – ha osservato – il contribuente continuerebbe a fruire della misura di favore, lasciando l’agente della riscossione impossibilitato a svolgere azioni di recupero coattivo.
Inoltre, c’è da attendersi, nel breve termine, un flusso di pagamenti capace di compensare solo in parte il minor gettito derivante dalla flessione della riscossione ordinaria, che, fisiologicamente, si registrerà nel periodo immediatamente successivo alla presentazione delle domande di adesione. Insomma, quello che lo Stato incasserebbe (a sconto) da una parte lo perderebbe dall’altra.
Più in generale, sull’efficacia delle rottamazioni, Carbone ha manifestato molti dubbi. Non hanno inciso significativamente – ha spiegato – sulla riduzione del volume complessivo dei crediti ancora da riscuotere. Il primo provvedimento ha ridotto il magazzino di 13,6 miliardi, con un tasso di decadenza (le somme non pagate dai contribuenti rispetto a quelle attese) del 53%. Lo stesso indicatore è addirittura aumentato nella rottamazione bis e ter (13,9 miliardi in tutto), rispettivamente al 68% e al 79%. La rottamazione quater è tuttora in corso: a fine 2024 risultavano incassati 12,2 miliardi, con un tasso di decadenza del 49%.

Al conto degli sgravi occorre aggiungere le cancellazioni dei mini debiti per 82,4 miliardi e provvedimenti di stralcio per circa 4 miliardi. Negli ultimi anni, la spugna fiscale – ha segnalato oggi Il Sole 24 Ore – ha cancellato debiti per 95,8 miliardi. Eppure, non basta a ridurre il fenomeno del magazzino.
Nel corso dell’audizione, Carbone ha confermato i numeri del fenomeno già emersi nelle precedenti riunioni della commissione. Il magazzino dei crediti dello Stato, di dimensioni già ciclopiche (1273 miliardi a gennaio 2024), continua ad aumentare mese dopo mese, al ritmo di oltre 80 miliardi l’anno. I morosi sono sempre gli stessi: quelli che risultano recidivi per tre anni sono ben il 77% dei contribuenti non in regola. Gli inadempienti da almeno 10 anni sono il 60%.
Di quella gran massa di crediti – ha spiegato – circa il 40% viene considerato di difficile recuperabilità: si riferisce a debiti di persone defunte o nullatenenti, oppure ad aziende fallite. Poi ci sono 50,9 miliardi interessati da provvedimenti di sospensione (nell’ambito di procedure fallimentari o perché riguardanti le rottamazioni). Rimangono 581 miliardi, su cui l’Agenzia delle Entrate ha svolto negli anni procedure esecutive o cautelari. A completare il quadro, ci sono, infine, crediti per 101 miliardi per i quali ancora nulla è stato fatto.

Che si fa per recuperare il dovuto? Molto e poco allo stesso tempo. Nonostante il volume degli incassi sia aumentato progressivamente nel tempo – si è passati dai 3 miliardi l’anno (fino al 2005) ai 14-16 miliardi degli ultimi due anni – l’Agenzia delle Entrate e Riscossione (AdeR) è soprattutto una fabbrica di carte bollate. Gli esattori devono districarsi tra termini di prescrizione e cautele di ogni tipo, sicché le attività di notifica, intimazione, ingiunzione assorbono buona parte della capacità operativa di AdeR. Al recupero vero e proprio delle somme dovute (con pignoramenti e quant’altro) si arriva raramente, con una struttura che, negli anni, ha visto diminuire i propri dipendenti: dagli 8130 di fine dicembre 2007 ai circa 7mila attuali.
A rendere meno efficiente la macchina della riscossione contribuisce anche la mancata interoperabilità delle banche dati pubbliche, anche quelle che fanno capo all’AdeR. Vi si può accedere solo per una determinata finalità autorizzata. Sicché, ad esempio, la banca dati delle fatture elettroniche, gestita dall’Agenzia delle Entrate – ha ammesso candidamente Carbone – non può essere utilizzata dagli uffici di riscossione, privandoli di un importante strumento di analisi e accertamento.