L’economia Usa è esuberante. Gli spread dei bond aziendali Usa, anche quelli relativi agli high yield, sono sui minimi da 20 anni. Eppure il numero delle imprese finite in default, che hanno avviato le procedure di Chapter 11 ( per ristrutturazioni aziendali), è cresciuto in un anno del 33 per cento. Qual è il segnale giusto per interpretare correttamente l’andamento della maggiore economia del pianeta? Se lo chiede “Il Sole 24 Ore” che ha svolto una lunga analisi sui contrastanti indicatori dell’economia Usa. Segnali evidenziati in questi giorni anche da Be Bankers nel pubblicare gli ultimi dati, molto favorevoli, sugli spread creditizi, e quelli di segno opposto sull’aumento dei pik (payment-in-kind) con cui le aziende chiedono aiuto ai propri finanziatori presso fondi di credito privato, cercando di ritardare i pagamenti dei debiti per conservare liquidità. Ora si aggiunge, appunto, anche la lente del quotidiano economico.
Per capirne di più il giornale ha interpellato Edward Altman, professore emerito di finanza alla NYU Stern School of Business e inventore del noto Z-Score per prevedere i default aziendali. «Non dico che arriverà per forza uno scenario di stress finanziario in Usa – ha spiegato – ma ci sono vulnerabilità che potrebbero manifestarsi se i tassi restassero troppo alti a lungo e se l’economia frenasse più del previsto».
Come si giustifica il contrasto tra gli spread sui bond ai minimi con l’aumento elevato delle procedure di “Chapter 11”? Altman ha attirato l’attenzione sul confronto tra il tasso di default dei bond high yield (quelli emessi da società con bassi rating) e quello dei “leveraged loans” (crediti emessi dalla stessa tipologia di aziende a basso rating). I due tipi di prestiti, rivolti ad aziende con simile merito di credito, dovrebbero mostrare un andamento analogo. Invece non è così. Nei primi 8 mesi del 2024 sono andate in default solo 15 aziende emittenti di bond high yield, per 14 miliardi di dollari, con un tasso di default all’1% contro una media storica del 3,3%. Invece nello stesso periodo sono andati gambe all’aria 58 leveraged loans per un ammontare di 59 miliardi di dollari e un tasso di default al 4,5%. «E la previsione a fine anno è che salga al 6% – afferma Altman –. Si tratta del tasso di insolvenza più elevato dal 2009, dopo il crack di Lehman Brothers».
«Il motivo per cui i leveraged loans hanno tassi di insolvenza ben più elevati rispetto ai bond high yield è legato al fatto che sono a tasso variabile, mentre i bond sono a tasso fisso – spiega Altman –. La maggior parte dei bond high yield è stata emessa quando i tassi erano bassi, per cui non hanno subìto i rincari della stretta monetaria. I leveraged loans invece sì. Per questo qui i default sono più elevati. Il problema, per i bond, potrebbe manifestarsi quando le società dovranno rifinanziarli a tassi più elevati: a quel punto i nodi potrebbero venire al pettine e i default potrebbero avvicinarsi a quelli dei leveraged loans».